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“Omicidi, estorsioni, rapine e spaccio: la stretta alle intercettazioni è un divieto a indagare. Regalo per chi commette reati e teme gli ascolti”

La stretta all’uso delle intercettazioni telefoniche equivale a “una specie di divieto a indagare“. Un “regalo” da parte della maggioranza di governo a “chi commette reati“, che avrà una ripercussione nelle indagini per furti in appartamento, truffe agli anziani, spaccio di stupefacenti. E ancora estorsioni, rapine, omicidi e pure i reati del Codice rosso. La seconda sessione di audizioni della Commissione Giustizia della Camera conferma quanto già emerso nella prima: magistrati e addetti ai lavori fanno a pezzi le modifiche alla disciplina delle operazioni di intercettazione che il Parlamento sta per varare. Il disegno di legge presentato da Pierantonio Zanettin, esponente di Forza Italia, è già stato approvato al Senato ed è approdato alla Camera. La legge riduce il tempo a disposizione degli investigatori per usare ascolti telefonici e ambientali durante le indagini: potranno farlo al massimo per 45 giorni, con proroghe possibili solo quando dalle captazioni emergono nuovi elementi. Un limite troppo basso, che penalizza l’individuazione degli autori dei reati, come hanno ripetuto magistrati e giuristi ascoltati dalla Commissione Giustizia di Montecitorio.

Lo Voi: “Quale è lo scopo di questa riforma?” – Il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, ha sottolineato come la limitazione dell’uso delle intercettazioni a 45 giorni comporti “una eliminazione di un potere che non è del pm ma del giudice per quanto riguarda la richiesta di proroga“. Il numero uno di piazzale Clodio ha ricordato come la norma non valga per le indagini su mafia, organizzazioni terroristiche e reati più gravi: “Ma non c’è soltanto la criminalità organizzata, il terrorismo o il cybercrime, esistono anche altri reati gravissimi per i quali 45 giorni in realtà non basteranno mai e tutto questo si trasforma in una specie di divieto ad indagare“. Il magistrato ha citato alcune fattispecie per le quali si potranno usare le intercettazioni solo per 45 giorni: dall’omicidio all’estorsione, dalle rapine allo spaccio di stupefacenti e alle truffe agli anziani. “Sarebbe come dire che nel corso delle indagini preliminari è possibile operare solo una perquisizione domiciliare e un solo sequestro”, ha aggiunto. “Quando partono le intercettazioni, almeno tra il 20 e i 30 giorni occorrono per individuare quali sono i telefoni realmente utili, cioè quelli in uso e quelli che invece non servono. Quindi in realtà l’effettiva durata delle intercettazioni si riduce a un periodo nettamente inferiore a quello dei 45 giorni”, ha spiegato ancora Lo Voi. L’ex procuratore di Palermo ha poi raccontato di come ormai “tutti coloro che commettono reati sia che si tratti di organizzazioni criminali o per i reati contro la pubblica amministrazione o riciclaggio” si affidino sempre più spesso alle chat criptate per comunicare. “Questo perché le intercettazioni sono un mezzo investigativo temuto da chi commette i reati. Tutto ciò non mi fa comprendere perché dovremmo fargli questo regalo“, ha detto il capo dei pm di Roma. “Mi chiedo dunque quale sia lo scopo di questa riforma: perché potendo indagare sino a 24 mesi in determinati casi devo privarmi di un mezzo essenziale se io ho il potere e il dovere di fare verifiche su una notizia di reato? Mi è difficile comprendere le ragioni di una riduzione così drastica del periodo delle intercettazioni tenendo presente che spesso gli audio carpiti nei primi mesi di indagine vengono realmente compresi sulla base di altre attività investigative o di altre intercettazioni fatte nei mesi successivi”.

Lo Voi: “Sarà uno sfacelo” – Il magistrato siciliano ha cominciato la sua audizione con una battuta amara: “Spero di non incappare nella tagliola dell’astensione obbligatoria visto che mi esprimerò su qualche aspetto critico”, ha detto riferendosi all’ultima proposta del governo, che punta a punire le toghe se prendono posizione pubblica sui temi di attualità, impedendogli poi di occuparsi di qualsiasi caso attinente agli stessi argomenti. In chiusura del suo intervento, invece, Lo Voi ha ricordato che le più importanti indagini condotte negli ultimi otto anni dalla procura di Roma “hanno sempre utilizzato le intercettazioni telefoniche per un periodo superiore ai 45 giorni”. Un esempio? “L’indagine in cui è stato arrestato un alto funzionario della Sogei, i cui risultati sono stati ottenuti grazie a intercettazioni durate ben più di 45 giorni e all’esito delle quali abbiamo trovato alcune centinaia di migliaia di euro“, ha spiegato. Il magistrato ha anche confutato quanto sostenuto più volte dal ministro della Giustizia Carlo Nordio sull’eccessivo costo delle intercettazioni. “Con un’indagine ben fatta noi riusciamo a recuperare i costi dell’intero anno, basta che io vi citi un dato: con una sola indagine qui a Roma – denominata Petrolmafia – grazie alle intercettazioni abbiamo recuperato 260 milioni di euro“. Il capo dei procuratori capitolini ha poi acceso i riflettori su un altro aspetto della riforma: le indagini indagini transnazionali. “Come posso chiedere un’indagine a un Paese straniero chiedendo di farla entro 45 giorni? E allo stesso modo se io ricevo una richiesta da un altro Paese e comunico che la posso fare entro 45 giorni, automaticamente mi estraneo da un sistema europeo ed extra europeo”. Ecco perché con la proposta di Zanettin, ha aggiunto Lo Voi, “ci sarà una gravissima incidenza sui rapporti internazionali. Non dico sfacelo, ma quasi”.

“La stretta non incida sui reati del Codice rosso” – Audito sulla stretta agli ascolti davanti alla Commissione Giustizia di Montecitorio anche Raffaele Cantone. “Io credo che il termine di 45 giorni sia oggettivamente non corretto dal punto di vista metodologico in relazione a qualsiasi tipo di reato”. Il procuratore di Perugia ha fatto l’esempio dello spaccio di droga: “Pensare che il termine di 45 giorni possa essere sufficiente a chiudere una indagine per il delitto di cui all’articolo 73 è assolutamente inidoneo”. Cantone ha spiegato che “va dato atto al legislatore di aver previsto una sorta di clausola di apertura, cioè la possibilità comunque si superare il termine dei 45 giorni, sia pure in presenza di una specifica valutazione che riguarda sia l’emergere di elementi specifici e concreti ma soprattutto richiedendo una motivazione rafforzata”. Secondo l’ex presidente dell’Autorità Anticorruzione “questa è una possibilità oggettivamente significativa e importante, anche se renderà sicuramente più problematica la necessità di motivarlo, ma consentirà con riferimento soprattutto a reati che richiedono una attività continuativa di svolgimento delle intercettazioni, di utilizzare anche oltre i termini dei 45 giorni“. Cantone, in ogni caso, si è augurato che il limite di durata delle intercettazioni “non incidano su reati che possono essere di particolare delicatezza e gravità come quelli del Codice rosso“. Il magistrato ha spiegato che “in riferimento a questi la necessità a volte di protrarre le indagini può essere in qualche modo collegata all’esigenza di dover monitorare i soggetti che commettono questa tipologia di reati“. Come si fa ad assicurarsi che gli indagati per violenze domestiche non reiterino il reato senza intercettazioni? Cantone ha anche aggiunto un’annotazione: secondo la sua interpretazione il limite dei 45 giorni non si applica ai reati contro la Pubblica amministrazione. “Non dovrebbe avere alcun effetto deleterio”, ha sostenuto l’ex presidente dell’Anac.

Dolci: “Intercettazioni a tappe non danno quadro d’insieme”- Audita dai commissari della Camera, anche Alessandra Dolci ha stroncato la riforma: “Un’indagine che si fonda su un’intercettazione a tappe non dà esattamente il quadro di insieme”, ha detto al procuratrice aggiunta di Milano. Dolci ha puntato parte del suo intervento sul tema del “disallineamento tra la durata delle intercettazioni con quello della durata delle indagini preliminari”. La magistrata ha riconosciuto che “anche dopo la cessazione dell’attività di intercettazione dopo il 45simo giorno, il pubblico ministero, qualora acquisisse nuovi elementi, potrebbe chiedere una nuova intercettazione”. Ma in casi simili per Dolci c’è un rischio per l’indagine. “Osservo – ha puntualizzato – che un’indagine che si fonda su intercettazioni a tappe, è un’indagine sicuramente con un deficit probatorio significativo, sia per il pubblico ministero sia per la difesa, perché è possibile che nello stacco temporale in cui non erano attive le intercettazioni siano emersi elementi a favore dell’accusa come delle difesa”. Secondo Vincenza Maccora, presidente aggiunto della sezione Gip del Tribunale di Milano, “la limitazione che si vuole introdurre alle intercettazioni cosiddette ordinarie per 45 giorni rischia di creare un arretramento sul contrasto all’illegalità e all’accertamento dei reati anche per quelli di forte allarme sociale“. La giudice ha ricordato ancora una volta come la stretta riguardi anche fattispecie che “non sono reati di un allarme minimo, come omicidi non connessi a contesti di criminalità organizzata o violenze sessuali“. Si tratta di reati che richiedono “un accertamento in cui la misura della intercettazione si dimostra nei fatti molto importante”. Con una scadenza fissata a un mese e mezzo, invece, le indagini rischiano di perdere uno dei principali mezzi di ricerca della prova.

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