Inchiesta Clean 2: «Altri nel gruppo di Pappalardo», un carabiniere testimone fa i nomi
PAVIA. Nella sua testimonianza ha fatto i nomi di cinque colleghi della polizia giudiziaria che facevano parte del “gruppo di Pappalardo”, che andavano con lui e altre persone in ristoranti costosi e di anomale consegne di fascicoli di indagine all’ufficiale dei carabinieri, da un anno in congedo, perché li visionasse. Alcuni di questi colleghi sarebbero stati anche coinvolti nei pedinamenti ai danni dell’ex fidanzata di Pappalardo.
Il testimone è un carabiniere in servizio in procura da diversi anni, anche nel periodo, tra il 2016 e oggi, finito al centro dell’attenzione dei magistrati nell’inchiesta “Clean 2”. In questo lasso di tempo, spiega il testimone, Pappalardo, ora ai domiciliari per le accuse di corruzione e stalking, frequentava spesso gli uffici del palazzo di giustizia dove lavorava anche Antonio Scoppetta, il carabiniere forestale finito in carcere a Opera per le stesse accuse. «Non sempre per ragioni di lavoro, si vedevano anche per cose personali», ha spiegato il testimone. Gli inquirenti vogliono capire se l’attività della polizia giudiziaria in quegli uffici, legata ad accertamenti e indagini, sia stata in qualche modo condizionata dalla rete di interessi privati e scambio di favori tra gli indagati.
I messaggi sul telefono
Su questo fronte sono già emerse alcune circostanze, contestate nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di Scoppetta e Pappalardo. L’accusa di corruzione si basa proprio sul presupposto che Pappalardo avrebbe ottenuto una serie di informazioni da Scoppetta in cambio di favori e altre utilità, come ospitalità in alberghi, pranzi e cene, visite mediche, somme di denaro e anche un’automobile in comodato d’uso gratuito fornita dalla ditta Esitel, che si occupava del servizio intercettazioni in procura, in quel periodo. Già a partire dal 2015, secondo l’accusa, Scoppetta avrebbe fornito informazioni riservate, relative a indagini, a Pappalardo, che non avevano a che fare con il suo lavoro.
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In un caso Pappalardo sarebbe stato invitato nella sala intercettazioni per ascoltare una telefonata. Altri scambi di messaggi riguardano un certo “Arturo” e un tale “Carmine”, che aveva presentato una denuncia. I messaggi contestati nell’ordinanza (che erano presenti nei telefonini degli indagati) arrivano fino al 2019, ma secondo gli investigatori solo perché i due avrebbero usato un altro tipo di applicazione di messaggistica.
Il testimone racconta che anche dopo il 2019 «Pappalardo era di casa negli uffici, veniva e faceva quello che voleva, gli venivano dati fascicoli in mano. Io non contavo nulla, ad esempio i pranzi: non sono mai andato, perché non ero del giro». Il testimone cita altri colleghi, che invece facevano parte del gruppo. Non sono indagati, ad eccezione di Scoppetta e Daniele Ziri, il brigadiere del Nucleo ispettorato del lavoro finito al centro di un altro filone di indagine, che coinvolge anche Pappalardo, sui controlli nei cantieri edili e ristoranti, che secondo l’ipotesi della procura potrebbero essere stati pilotati.
Lo stalking
I colleghi citati dal testimone avrebbero anche preso parte ad alcuni servizi di appostamento e pedinamento messo in atto nei confronti della ex fidanzata di Pappalardo, che aveva deciso di interrompere la relazione con lui. Lo stesso testimone ammette di avere partecipato a uno di questi appostamenti: «Ho eseguito un ordine, non sapevo nulla». Il testimone dice di sapere che erano state anche redatte delle lettere anonime: «Pappalardo era andato fuori di testa per quella storia». Conferma poi l’installazione di un Gps sotto l’auto della donna: «Lo controllavano altre due persone oltre a Pappalardo e Scoppetta. Ma io non sapevo se c’era una indagine o no. Non mi mettevano al corrente di nulla».