Esplose petardi sull’auto dell’ex compagna: condannato a tre anni e mezzo
Fece letteralmente saltare in aria con dei grossi petardi, provocando gravi danni, l’auto della sua ex compagna: cofano divelto, finestrini in frantumi.
Ieri il mestrino M.T. è stato condannato per stalking e danneggiamento a 3 anni e 6 mesi di reclusione (sei mesi in più di quanto richiesto dalla Procura) e al pagamento di 5 mila euro di provvisionale sul risarcimento che dovrà alla donna (che si è costituita parte civile, con ,l’avvocato Carlo Costantini). Risarcimento che sarà stabilito dal giudice civile.
Così ha deciso il giudice per le udienze preliminari Alberto Scaramuzza, al termine di un processo con rito abbreviato e, quindi, riconoscendo all’imputato (difeso dall’avvocato Giovanni Vio, che già annuncia appello) lo sconto di un terzo della pena.
M.T. - ne omettiamo il nome per non rendere identificabile la vittima delle sue persecuzioni - era accusato di aver reso un incubo la vita della donna con la quale aveva vissuto per 14 anni, fino al punto di farle saltare l’auto, caricandola di potenti petardi.
Nel corso del suo delirio aggressivo e persecutorio l’uomo - che si trova in carcere dal 19 maggio, arrestato dopo l’attentato alla macchina, ma per il quale ora l’avvocato Vio chiederà quantomeno gli arresti domiciliari - qualche giorno prima aveva anche infranto i finestrini dell’automobile del nuovo compagno della donna, mandandogli poi un messaggio: «Guarda che ti si bagna tutta la macchina, valla a guardare, dai retta a me». E, ancora, «questo è solo l’inizio, pensa andando avanti quando vi toglierò la vita». Un crescendo di violenza, fino all’esplosione più potente che aveva danneggiato l’automobile di lei.
E poi i continui passaggi nei pressi di casa della donna, gli appostamenti nei luoghi dove cercava di fermarla per parlarle. Lui la tempestava di messaggi per dirle che lei era la “sua” donna e non poteva avere nessun’altra relazione - ricostruisce il capo d’accusa - fino alle minacce sempre più pressanti. Fino a quando - è sempre il capo d’imputazione a parlare - «urlando minacce ed improperi, faceva esplodere un grosso petardo che danneggiava anche il massetto in marmo della porta».