Irene Grandi arriva al Teatro Verdi di Gorizia: è l’unica data in Friuli Venezia Giulia
«È un incontro con i fan che mi seguono da trent’anni, mentre gli altri possono conoscere un excursus delle mie scelte musicali, i momenti, le tematiche che ho esplorato, unificando una carriera che, proprio per queste particolari scelte, può risultare frammentaria. Ecco, è un filo conduttore riguardo alle mie variazioni musicali che mi mostra come donna e come artista. E il tutto è sottolineato dalle luci, dai cambi d’abito che ne fanno uno spettacolo completo. Sì, di questo concept, studiato bene con il mio team, sono molto fiera”.
E proprio nel “Fiera di me tour” rientra l’evento di lunedì, con inizio alle 20.45: protagonista è Irene Grandi nella sua unica data in regione.
Il tour celebra i suoi trent’anni di carriera. Può tracciarne un bilancio?
«Lo racconta molto bene la canzone uscita da poco: “Fiera di me”. Parla della consapevolezza di aver fatto un certo percorso, con i suoi alti e bassi, con le sue scelte, anche di libertà, autonomia, identità. Ed è questa la parte più positiva dei miei trent’anni di attività. Sì, posso dire di aver fatto tante cose, anche di testa mia (bel privilegio), sempre circondata da incontri, situazioni che ho molto amato. È stato allora un bel viaggio, un regalo che il talento mi ha dato».
E qual è il suo talento più grande?
«Abbinare l’intonazione alla comunicatività».
Da poco è uscito il suo nuovo singolo: “Universo”. Può presentarlo?
«È un ritorno a due figure importanti: Francesco Bianconi, che ha scritto il brano, e Pio Stefanini, che l’ha prodotto. Con entrambi avevo già lavorato in “Bruci la città” e “La cometa di Halley”, canzoni molto belle e che mi piace eseguire dal vivo. Quindi, aggiungere questo pezzo costituisce un tris d’assi. L’inizio dell’album, con “Fiera di me” e “Universo”, mi fa quindi portare avanti due tematiche: la prima canzone è una ricerca (visto che al mio fianco ci sono stati personaggi nuovi, a partire dal produttore Giampaolo Pasquile), la seconda, appunto, è una celebrazione di ciò che è stato.
Lei veniva spesso definita “la cattiva ragazza della musica italiana”. Si sentiva davvero così?
«Non sempre ho seguito le strade che mi venivano proposte, suggerite. Spesso ho fatto deviazioni. Se questo è essere cattivi, io lo sono stata».
Quanto è uscita dalle regole?
«Da giovane sono stata ribelle, anticonvenzionale: mi sono data le mie regole, tutte particolari. Ma crescendo ho capito che seguire il buon senso, avere una certa etica, può aiutare. Quindi, dalla ribellione sono passata alla ricerca della saggezza.
Qual è la sua canzone che ama di più?
«Sceglierne una non è semplice, ma mi sento sempre molto rappresentata da “Prima di partire per un lungo viaggio».
Perché?
«Mi piace a livello musicale: è bella in ogni arrangiamento. E poi sono molto legata al tema del viaggio come modo di vita: sì, mi sento sempre in viaggio verso qualcosa, cerco sempre di restare fedele alla mia linea, ma cambiando paesaggi, situazioni. Inoltre, amo il messaggio di quel brano, forse la mia prima canzone adulta».
Come valuta oggi la musica italiana rispetto a quando lei ha cominciato?
«È completamente diversa. Sta mettendo in discussione la tradizionale forma canzone su cui negli anni Ottanta-Novanta ci siamo formati. Quindi, il momento è di rottura, ma lo ritengo un passaggio necessario anche se la perdita di questa forma canzone, che in Italia ha una certa valenza culturale, mi spaventa un po’, pur non mancando le eccezioni a tenerne alto il livello». —
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