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I ruggiti di Landini, solita tigre di carta

Aver portato in piazza mezzo milione di persone non è servito a niente e per questo Maurizio Landini frigna e dice che il governo non può ignorare i manifestanti, supplicando un invito a Palazzo Chigi per ridiscutere la manovra finanziaria. Se c’era un modo per rappresentare l’inutilità dello sciopero generale voluto dal segretario della Cgil allo scopo di assecondare le proprie aspirazioni politiche, beh, Landini lo ha trovato. Infatti, sostenere a distanza di tre giorni dalla protesta che il capo del governo non può ignorare un corteo equivale ad ammettere implicitamente che il presidente del Consiglio lo sta snobbando.

Del resto, non serviva il mago Otelma per prevedere un simile esito. Un po’ perché nessuno crede che la principale delle organizzazioni sindacali sia riuscita a far sfilare mezzo milione di persone: da sempre Cgil e compagni sono abituati a spararla grossa, gonfiando le cifre nella certezza che nessuno sarà mai in grado di verificare quanti lavoratori effettivamente si siano radunati attorno al palco di Landini. E un po’ perché, se confrontate con altre manifestazioni del passato, mezzo milione comunque restano pur sempre poche. Ricordate, infatti, il corteo che doveva celebrare l’ascesa politica di Sergio Cofferati, un po’ di segretari della Cgil fa? Anche allora il numero uno del sindacato rosso si preparava a fare il gran salto in Parlamento e per l’occasione surriscaldò gli animi con l’articolo 18, fino a organizzare quella che avrebbe dovuto essere un’adunata oceanica. I giornali dell’epoca scrissero - bevendosi la stima confederale - che al Circo Massimo sfilarono 3 milioni di persone, ma, soprattutto, aggiunsero che Cofferati non aveva voluto sul palco nessuna vecchia cariatide della sinistra. Doveva essere una vera e propria celebrazione dell’ascesa di un nuovo lìder massimo. Come sia finita è noto: nonostante i 3 milioni di presunti adepti, il leader della Cgil venne dirottato a fare il sindaco di Bologna, dove, una volta messo a confronto con i problemi reali e non solo sindacali, ballò per un solo turno, fuggendo disperato per poi riparare a Bruxelles, dove è stato da tutti dimenticato.

Consapevole del pericoloso precedente, Landini, pur gonfiando i numeri, ha preferito fermarsi a un sesto dei presunti manifestanti arruolati da Cofferati, scegliendo di calcare i toni più che i numeri. Così, dopo la «rivolta sociale» e la promessa di «rivoltare l’Italia come un guanto», ogni giorno prova ad alzare la voce, per far credere che le sue parole non siano cadute nel vuoto. Purtroppo per lui, di questi tempi i lavoratori non si accontentano di dichiarazioni, in quanto le frasi, seppur pronunciate da un leader sindacale, non riempiono la busta paga, che - come è noto - in Italia è tra le più sottili dell’Unione.

Per altro, al segretario della Cgil nuoce il confronto con i più agguerriti rappresentanti dei lavoratori della Germania. È bastato che Volkswagen annunciasse una riduzione del personale in alcune fabbriche per indurre i sindacati tedeschi a uno sciopero ad oltranza, che minaccia di mettere in ginocchio il colosso automobilistico. Da noi Stellantis sta liquidando l’intera industria delle utilitarie (mentre il suo amministratore delegato se la dà a gambe levate), e tuttavia Landini su Fiat e dintorni è muto come un pesce. Parla di rivolta, di guanti da rivoltare, di lavoratori da rispettare, ma poi se c’è da concedere un’intervista a Repubblica non pare ricordarsi che quel giornale è di proprietà della stessa famiglia che detiene il pacchetto di maggioranza di Stellantis. La verità è che il segretario della Cgil ruggisce a parole e spera di trarne un vantaggio politico. Insomma, avete capito: è l’ennesima tigre di carta della sinistra.

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