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Gaza, Libano e ora Siria. L’Iran ha perso potere e ora torna l’incubo dell’arma nucleare

E ora Teheran che farà? I duri colpi inferti a Hamas a Gaza, la decapitazione delle milizie di Hezbollah e ora la caduta del regime siriano con Assad in fuga impongono una riflessione al nemico giurato di Israele. In circa tre mesi l’Iran infatti ha perso la profondità strategica che proiettava il suo potere fino al Mediterraneo, la vera arma che per decenni gli aveva consentito di tenere testa alla potenza americana e a Tel Aviv. Ora la scelta potrebbe cadere su un’altra arma, quella nucleare, la sola, come insegna l’esempio della Corea del Nord, che renderebbe intoccabile la Repubblica islamica.

Teheran avrebbe fatto progressi dal 2018, anno in cui gli Usa, sotto l’amministrazione Trump, si ritirò dall’accordo sui controlli Onu sull’energia atomica iraniana sottoscritto nel 2015 a Vienna con i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, oltre agli Stati Uniti – più Germania e Ue. Secondo alcuni analisti potrebbe essere l’unico attore al mondo privo di un arsenale nucleare capace di “arricchire l’uranio al 60%”. E sebbene non risulti aver compiuto l’ultimo miglio verso la ripresa di operazioni concrete di assemblaggio di ordigni, come confermato dall’aggiornamento del rapporto annuale dell’intelligence americana della scorsa primavera, viene ritenuto in grado di disporre di combustibile nucleare “quasi pronto” per non meno di tre bombe atomiche.

La caduta di Bashar al Assad “è come la caduta del muro di Berlino per l’asse iraniano“, ha dichiarato un funzionario dei Guardiani della rivoluzione di Teheran al New York Times, che ha parlato di “panico totale” diffusosi tra i vertici iraniani dall’inizio dell’inarrestabile avanzata dei ribelli e jihadisti in Siria. Mentre Benyamin Netanyahu afferma che scompare dalla scena quello che era “un anello centrale della catena del male dell’Iran”. Una svolta, avverte però il premier israeliano, che “non è priva di rischi”. Per i nuovi pericoli che potrebbero venire dalla Siria, certo, ma anche per le future scelte strategiche dell’Iran.

Teheran “adotterà un approccio e posizioni adeguate” a seconda degli “sviluppi in Siria e nella regione, nonché del comportamento degli attori” sul terreno, ha commentato il ministero degli Esteri. Un approccio politico, ma non si può escludere nulla anche in campo militare. E il pensiero corre inevitabilmente al programma nucleare. Nel settembre scorso il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, aveva affermato che erano in corso tentativi per riprendere i colloqui per rilanciare l’accordo sul nucleare del 2015. Poi, però, erano arrivati gli attacchi ai comandanti di Hezbollah in Libano e l’uccisione in un raid su Beirut del loro capo, Hassan Nasrallah. I bombardamenti sulla Siria avevano inoltre colpito le linee di rifornimento per i combattenti del Partito di Dio sciita. Stretta all’angolo sul terreno, Teheran ha annunciato il mese scorso che stava mettendo in funzione “nuove e avanzate” centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.

Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), Rafael Grossi, ha detto che l’Iran sarà in grado di produrre 34 chilogrammi di uranio arricchito al 60 per cento rispetto ai 4,7 chilogrammi prodotti in precedenza. E secondo lo stesso Grossi la Repubblica islamica è l’unico Paese non dotato di armi nucleari che arricchisce il materiale fissile a questo livello, ben al di sopra di quello necessario per produrre combustibile per le centrali (3-5 per cento) e pericolosamente vicino al 90 per cento necessario per produrre testate atomiche. “Il programma nucleare iraniano è pacifico e basato sulle esigenze tecniche del Paese, e continuerà sotto la supervisione dell’Aiea”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Esmail Baghaei. Ma in un Medio Oriente attraversato da tensioni e sconvolgimenti politici così rapidi, ogni allarme sembra giustificato.

La Siria è stata un “parco giochi per le ambizioni iraniane, diffondendo settarismo e fomentando corruzione” ha dichiarato nella sua prima apparizione pubblica dopo la caduta del regime il leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), Abu Mohammed al-Jolani parlando nella moschea degli Omayyadi. L’Iran e il suo rappresentante Hezbollah erano sostenitori chiave del governo di Assad, ha proseguito sottolineando – secondo quanto riportano i media internazionali – che “questa è una nazione che, se i suoi diritti vengono violati, continuerà a pretenderli finché non saranno ripristinati: ho lasciato questa terra più di 20 anni fa e il mio cuore desiderava ardentemente questo momento“. Insomma il vento dalla Siria è cambiato ed è contrario per Teheran.

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