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L’intervista. Simongini, curatore della mostra sul Futurismo: “La forza dell’utopia e la modernità di un movimento senza tempo”

Molto più di una mostra, un viaggio emozionale e intellettuale tra passato e futuro. “Il tempo del Futurismo”, promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura di Alessandro Giuli e curata dal professor Gabriele Simongini, racconta l’avanguardia italiana in tutta la sua potenza visionaria. Il Secolo d’Italia ha intervistato proprio quest’ultimo per scoprire come questo straordinario e dinamico movimento del primo Novecento continui a dialogare con le sfide della modernità, offrendo spunti di ispirazione e coraggio creativo alle nuove generazioni.

Quali sono gli obiettivi principali dell’esposizione e cosa spera che il pubblico porti con sé?

«Gli obiettivi principali sono coinvolgere, emozionare, parlare a un pubblico ampio, con un’attenzione speciale ai giovani. Troppi ragazzi oggi conoscono poco o nulla del Futurismo, spesso ignorato nei programmi scolastici, nonostante sia uno dei movimenti d’avanguardia più ammirati al mondo. L’intento è far scoprire questo straordinario capitolo della nostra storia artistica a tutte le fasce di pubblico, non solo agli esperti. Questa non è una mostra pensata esclusivamente per gli addetti ai lavori, ma un’esperienza che può catturare chiunque.

L’ho definita una “mostra di stati d’animo” perché è una cavalcata tra paesaggi emotivi e intellettuali diversi. Qui si trovano capolavori pittorici, oggetti scientifici, documenti storici, libri e manifesti pubblicitari di rara bellezza. Inoltre, l’esposizione offre un’installazione multimediale e una selezione di macchine e aerei che arricchiscono ulteriormente l’esperienza. È una visione polifonica: tante voci e stimoli che si intrecciano per offrire una comprensione profonda del Futurismo».

In che modo il Futurismo riesce ancora a dialogare con il presente?

«Una delle novità di questa mostra è il ponte che riesce a creare tra il passato e il presente. Già nel 1909, con il primo manifesto letterario, Filippo Tommaso Marinetti anticipava concetti che oggi ci sembrano incredibilmente attuali: il telefono senza fili, il computer portatile, il tablet. Nella mostra, pannelli e scritte accompagnano il visitatore con le parole stesse dei futuristi, rivelando quanto fossero avanti nel loro pensiero.

Marinetti e gli avanguardisti avevano intuito che il rapporto tra uomo e macchina sarebbe diventato sempre più stretto, fino a una vera osmosi. Pensiamo alle sfide attuali legate all’intelligenza artificiale o ai robot umanoidi: il Futurismo aveva già posto queste domande oltre un secolo fa. Questo lo rende attualissimo. Ma c’è di più: il movimento ci insegna la “forza dell’utopia”, un valore oggi quasi dimenticato. Viviamo in un’epoca dominata dal disincanto e dal culto del presente, mentre i futuristi ci ricordano che credere nelle proprie visioni, anche quando sembrano impossibili, è fondamentale. È un messaggio forte per i giovani, un invito a seguire le loro intuizioni e a guardare avanti con coraggio».

Perché è simbolico che questa mostra sul Futurismo sia proprio alla Gnam?

«È quasi paradossale che il più importante museo italiano dedicato all’arte moderna non avesse mai ospitato una grande mostra sul Futurismo. Si tratta di una lacuna che finalmente viene colmata. La Gnam è nata nel 1911, appena due anni dopo il primo manifesto di Marinetti, nel pieno fermento futurista. Eppure, fino ad oggi, questo museo non aveva celebrato uno dei movimenti più rappresentativi della modernità italiana. La mostra, quindi, non è solo un evento culturale, ma una riparazione storica.

Inoltre, molti capolavori del museo, conservati nei depositi e raramente esposti, sono stati recuperati per questa occasione. Questo permette ai visitatori di ammirare opere straordinarie che altrimenti sarebbero rimaste invisibili. È un’operazione che restituisce al pubblico un patrimonio di inestimabile valore».

È stato emozionante curare questa mostra? Ci sono state opere o momenti che l’hanno colpita particolarmente?

«Questa mostra rappresenta due anni di lavoro intenso, accompagnati da non poche difficoltà, comprese polemiche ingiuste sollevate ben prima dell’apertura. Tuttavia, il successo riscosso è per me un motivo di grande soddisfazione. Parlare di questa esposizione è sempre complesso: solo vivendo l’esperienza si può comprendere pienamente la sua portata.

Tra i momenti più significativi, c’è sicuramente il mio sogno di studente realizzato: nella prima sala, ho affiancato Il sole di Giuseppe Pellizza da Volpedo, opera tra le più importanti alla Gnam, a Lampada ad arco di Giacomo Balla, proveniente dal MoMA di New York. Questo accostamento rappresenta il passaggio tra due epoche, già solo questo vale la visita alla mostra perché è un confronto eccezionale. Poi ci sono Idolo moderno di Boccioni, prestito della Estorick Collection di Londra, e La rivolta di Russolo, in arrivo dal museo dell’Aia. Ma è difficile scegliere: ogni opera ha un posto speciale nel mio cuore, ci sono affezionato. Questa mostra è, senza dubbio, uno dei traguardi più importanti della mia carriera».

Perché i lettori non dovrebbero perdere questa esposizione?

«Perché il Futurismo non è solo storia dell’arte, è una lezione di vita, di visione e di audacia. Credo profondamente nei “figli della storia”, ossia nel rispetto e nella valorizzazione del passato, perché la storia non va cancellata, va rispettata. Questa mostra restituisce al pubblico l’intero contesto di un movimento che ha trasformato il modo di pensare l’arte e la modernità, con una chiarezza espositiva che rende accessibile anche i temi più complessi. È un’esperienza unica che, ne sono certo, non lascerà indifferenti».

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