Gli storici dell'arte sul Carciotti di Trieste: «Statue, affreschi e colonne: l’interno è quasi tutto recuperabile»
A esultare dopo l’asta vincente di lunedì scorso per Palazzo Carciotti non è stato solo il sindaco Dipiazza. Brinda con lui anche una categoria poco propensa ai facili entusiasmi, ma ugualmente fiduciosa per il recupero del gioiello neoclassico triestino: gli storici dell’arte, che all’immenso patrimonio del Carciotti sono legati per ragioni professionali ed emotive. L’occasione è buona allora per fare un punto sull’effettiva condizione di quel patrimonio, sfiancato dagli anni di attesa ma quasi del tutto ripristinabile con un intervento accorto e puntuale.
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Due voci fanno da guida in mezzo a decine di affreschi, bassorilievi e statue. Massimo Degrassi, direttore del dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Trieste e docente di Storia dell’arte contemporanea, accompagnato dal giovane architetto Kevin Visentin. Entrambi, per ragioni diverse, sono conoscitori esperti del Carciotti: Degrassi se ne è occupato a più riprese nell’ambito del suo lavoro di ricerca, Visentin ha da poco curato una tesi sull’argomento assieme a Elisa Sandrin (relatore il professor Sergio Pratali Maffei).
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Nell’analisi architettonica dell’edificio, Degrassi e Visentin concordano nella necessità di dividerlo in almeno due porzioni distinte, che non a caso coincidono con i due versanti del progetto abbozzato finora da Generali. La porzione del palazzo affacciata sulle Rive è quella artisticamente più rilevante, dove le Assicurazioni vorrebbero insediare un «hub di innovazione». Dietro, invece, nella metà che dà su via Cassa di Risparmio, «l’edificio è stato rimaneggiato più volte e i vincoli della Soprintendenza sono inferiori», spiega Visentin (qui sorgerebbe la parte residenziale).
Entrando dal lato delle Rive, si incontrano già le prime sorprese. Il piano terra del Carciotti è infatti ribassato rispetto al livello della strada, con un risvolto deleterio: «Ogni volta che piove gli interni si allagano facilmente», dice ancora Visentin, indicando i solai marci a causa dell’umidità. Sempre al piano terra si stagliano due statue colossali di Ercole e Minerva realizzate da Antonio Bosa, «tutto sommato in buone condizioni», specifica Degrassi, a eccezione dei piedistalli corrosi dall’acqua. Salendo al ballatoio, si raggiungono altre tre sculture in marmo del Bosa raffiguranti le Arti (Pittura, Scultura e Architettura), anch’esse in uno stato di conservazione «accettabile».
L’angolo più suggestivo e senza dubbio più prezioso è però il piano nobile, con la sua sala rotonda circondata da sedici colonne. «La decorazione della sala è in buono stato, ha bisogno soltanto di una pulitura», commenta Degrassi. Qui si distinguono alcuni bassorilievi a tema epico sempre del Bosa e gli affreschi di Giuseppe Bernardino Bison. Riservare la maggiore monumentalità al piano nobile in cui viveva Carciotti riflette la volontà progettuale di quest’ultimo, che destinava gli altri piani «a luogo di profitto», spiega Visentin. In ogni caso, nelle stanze attigue alla sala rotonda sono presenti altri affreschi coperti di vernice bianca, recuperabili «con uno sforzo aggiuntivo». Degrassi ricorda inoltre che, durante una pulitura effettuata dalla Soprintendenza una decina di anni fa, erano emersi altri brani di decolorazioni, forse della scuola di Bison. A conferma della ricchezza celata all’interno del Carciotti.
Meno ricco, se comparato a quanto visto finora, il retro del palazzo su via Cassa di Risparmio. Qui va menzionato solo il parquet d’epoca, mentre il resto – compreso lo scalone – risale a una rivisitazione novecentesca. Poche le perdite da inizio Ottocento a oggi, tutte concentrate all’esterno: oltre alle ammaccature delle dieci statue che adornano su ambo i lati la facciata, si sono rovinati con il tempo i bassorilievi delle Arti e delle Scienze posti sul tamburo della cupola. Una delle poche decorazioni che non potrà essere recuperata. —
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