La gang che picchiava i gay, i genitori: «Rovinati da quello che hanno fatto»
«Siamo rovinati da quello che è successo, tristi e dispiaciuti per le vittime».
Lo dice la mamma di Tahar El Meliani, 23 anni, residente a Fossò nel Veneziano, prima di chiudersi nel dolore che colpisce il genitore di un ragazzo accusato di aver massacrato di botte e rapinato degli omosessuali assieme ad altri amici.
Nel suo profilo social il ragazzo cita un non meglio precisato “Orgoglio italomarocchino” e si mostra in alcune foto vestendo una mimetica con lo scudo dell’Esercito Italiano, con pistola nella fondina e armi lunghe, si suppone da softair. Pistole imitazione di quelle in dotazioni alle forze dell’ordine, sequestrate dai carabinieri durante le perquisizioni agli indagati. Nelle foto il giovane indossa una maschera simile a quelle usate nei raid punitivi con 10 vittime accertate.
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Le maschere venivano indossate a turno dagli aggressori per nascondere il volto. I due arrestati, Tahar El Meliani e Mohammed Fathali, 23 anni di Vigonovo (difesi dall’avvocato Davide Taschin) hanno un lavoro e non hanno precedenti. Prima che gli indizi contro di loro si sviluppassero grazie alle puntigliose indagini del pm Roberto D’Angelo, risultavano essere due insospettabili.
Al momento hanno scelto di rimanere in silenzio di fronte al giudice, nonostante le gravi accuse contenute nelle 22 pagine di ordinanza di custodia cautelare in carcere; gli indagati potranno decidere di farsi interrogare in seguito, chiarendo le loro posizioni.
Dieci le vittime pestate a sangue in via Polonia, in zona industriale a Padova, in un boschetto frequentato da omosessuali. Per chi ha indagato, potrebbero essere molte di più, ma c’è sempre stata una reticenza a denunciare, per vergogna e per paura che l’omosessualità delle vittime, non sempre nota, potesse venire alla luce.
Una delle vittime, racconta «il terrore dello scarrellamento di una pistola». «Ero arrivato in via Polonia al volante della mia Bmw» ricostruisce il malcapitato nel verbale raccolto dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Padova «Stavo fumando una sigaretta quando è venuto verso di me un magrebino molto alto, longilineo, con capelli scuri.
Mi ha chiesto più volte se fossi uno sbirro e improvvisamente si è calato una maschera e in quel mentre ho sentito lo scarrellamento di un’arma e poi lui ha estratto un taser. Ho provato a fuggire ma mi ha rincorso colpendomi con una scarica elettrica che mi ha tramortito. Lui e tre complici, tutti con il volto coperto da maschere mi hanno colpito per 5 minuti con manganelli, calci e pugni su tutto il corpo. Solo l’arrivo di una persona in monopattino li ha fatti desistere».
La vittima viene medicata con una prognosi superiore a 40 giorni, con trauma cranico facciale, fratture e contusioni multiple. Un racconto che si è ripetuto per una decina di volte l’estate scorsa. Un odio per i gay, da massacrare in quanto tali, ha spinto tre maggiorenni e 6 minorenni a macchiarsi di reati (40 le contestazioni) che potrebbero portare a pene fino a vent’anni di carcere. E l’indagine non è ancora chiusa.