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Barbiana, 70 anni fa l’arrivo di don Milani. La canonica, il cartello “I care”, l’officina: cosa resta di un santuario religioso e civile

Adele Corradi, la professoressa che ha accompagnato don Milani negli ultimi anni della sua vita, morta il 23 novembre a 99 anni (il 9 dicembre ne avrebbe compiuti cento), si chiede, nell’appendice del suo libro Non so se don Lorenzo, edito da Feltrinelli, in che senso don Milani possa essere ritenuto “testimone del Vangelo”. Risponde così. Non tanto per la sua vita di estrema povertà, di spoliazione totale. Neppure per la scelta dei poveri. Meno che mai per le sue prediche (“durante la messa non parlava mai”). L’annuncio del Vangelo in don Milani “avveniva attraverso le sue opere”. E’ Barbiana il suo vangelo. “Barbiana si può ben dire opera di don Lorenzo. E’ esistita perché l’ha inventata lui”, scrive la Corradi.

Quando don Milani il 7 dicembre 1954 vi fu esiliato dalla Curia fiorentina, Barbiana, a circa 800 metri di altezza, sul monte Giovi, nel Mugello, era un grumo di una ventina di case e una piccola chiesa con la canonica. Intorno cipressi, faggi e rovi. Gli abitanti, montanari e contadini, erano in tutto una novantina. Per arrivarci bisognava percorrere un sentiero sassoso che con l’auto o il camion poteva essere percorso fino a settecento metri dalla canonica. Poi, come fece anche don Milani il giorno del trasferimento, bisognava andare a piedi. Non c’erano le Poste, la luce, la scuola. La Curia fiorentina aveva deciso di chiudere la chiesa e la canonica. La tenne aperta e ci confinò il giovane Lorenzo. Che appena vi approdò, in una giornata di tempesta e fango, si recò subito in chiesa, si inginocchiò e pianse. Aveva 31 anni ed era figlio di una delle famiglie più ricche di Firenze, proprietari, i Milani, di 27 poderi a Montespertoli e di una lussuosa villa a Castiglioncello, luogo delle vacanze estive. Ma l’indomani, don Lorenzo scese a Vicchio, a 7 km di distanza per recarsi in municipio ad acquistare la sua tomba: “Morirò qui”, disse. E alla mamma Alice Weiss, ebrea triestina, scrisse: “Non c’è motivo di considerarmi tarpato se sono quassù. La grandezza d’una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose”.

Esiliato a Barbiana, in una sorta di Siberia ecclesiastica, come la definì l’amico magistrato Gian Paolo Meucci, per mettere a tacere una voce critica e profetica. Ma la voce del priore anziché tacitarsi si fece ancora più forte. Qui a Barbiana ha scritto tre opere che hanno segnato la cultura e la società italiana del dopoguerra, e da molti è stato definito uno dei più importanti intellettuali alla pari di Pier Paolo Pasolini. Nel 1958 è uscito Esperienze pastorali, subito condannato dal Sant’Uffizio (libro riabilitato da papa Francesco). Nel 1965-66 L’obbedienza non è più una virtù (è stato condannato in Appello). Nel 1967 Lettera a una professoressa, venduta in milioni di copie, testo cult del classismo nella scuola italiana.

Così la scrittrice e giornalista di Repubblica Emanuela Audisio ha descritto Barbiana: “Una stanza sperduta, un sentiero che scoraggia, quattro mura di campagna, un crocefisso piccolo piccolo. Ma l’impressione è che ancor oggi Barbiana continui a suo modo a muovere il mondo”. A tal punto da muovere, è il caso di sottolinearlo, Papa Francesco che il 20 giugno 2017, un martedì, decise di salire a pregare sulla tomba del priore e sei anni dopo, il 27 maggio 2023 è toccato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella rendere omaggio al priore di Barbiana. Il “miracolo” di don Milani, come lo ha definito Adele Corradi, è stato questo: rendere un non luogo, sconosciuto nelle cartine geografiche, destinato a chiusura, in una sorta di “santuarioreligioso e civile, omaggiato dal papa e dal Capo dello Stato.

Arriviamo a oggi. A sabato 7 dicembre 2024, giornata di nuvole e pioggia, a Barbiana. Settanta anni dopo molti pellegrini visitano, come ogni giorno, spesso a piedi e con lo zaino, i luoghi del vangelo di Lorenzo, per citare la Corradi. Prima tappa, la stanza in canonica dove don Milani insegnava. La scuola di Barbiana nasce nel 1956 per i primi sei ragazzi del popolo che avevano finito la scuola elementare. Una scuola poverissima: un solo libro di testo, niente voti, niente crocifisso. Alle pareti, spiegano gli accompagnatori della fondazione don Milani, la prima carta geografica fatta a mano, I Care originale appeso alla porta della camera del priore, l’atlante storico murale, lo studio del parlamento italiano, la piramide della selezione scolastica, la formazione delle Repubbliche in Europa, la nascita degli Stati indipendenti dell’Africa, la conquista del diritto universale del voto, l’astrolabio costruito dai ragazzi.

Oltre alle aule interne ed esterne il percorso didattico comprende: l’officina, la fucina, la chiesa e l’esterno cioè i pergolati e la piscina. Il percorso abbraccia l’intero periodo della scuola che va dal 1956 al 1968, un anno dopo la morte del priore. Alla chiesa e alla canonica si può arrivare attraverso la stradina abituale dei visitatori ma anche per un altro sentiero, percorso da don Milani venne esiliato a Barbiana. Il sentiero è stato ripristinato e dal 2011 ospita, dall’inizio fino alla canonica, per oltre un chilometro e mezzo lungo il bosco, 44 cartelli con gli articoli della prima parte della Costituzione, quella dei principi, dei diritti e doveri, illustrati ciascuno da alcune scuole sparse per la penisola. Il progetto, ideato dalla fondazione don Milani e in particolare da Michele Gesualdi, è stato inaugurato il 16 aprile 2011 alla presenza dell’allora presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, fiorentino, legato a La Pira e al suo mondo. Dieci anni dopo è stato invece inaugurato il Sentiero della Resistenza.

Là dove nel dicembre di 70 anni fa c’era fango, sassi, e si saliva a fatica, Barbiana laicamente celebra oggi la Resistenza e la Costituzione. Così da continuare ad essere, nel segno di don Milani, luogo scomodo e inattuale.

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