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Ci sarà un prima e un dopo il caso Gisèle Pelicot: ora si tolga alle vittime l’onere della prova

Grazie, Gisèle Pelicot, per aver affrontato il processo con determinazione, a testa alta e a porte aperte. Per aver mostrato a tutti e tutte che il male non ha le sembianze di un mostro: è comune, ordinario, persino banale. Si nasconde nella quotidianità, e perciò è anche più difficile da riconoscere.

A Mazan, piccolo paese della Francia, 51 uomini, di età compresa tra i ventisei e i settant’anni, appartenenti a varie estrazioni sociali, stati civili e occupazioni, sono stati imputati e condannati per aver partecipato consapevolmente allo stupro sistematico di una donna, Gisèle, che per dieci anni, è stata drogata dal marito Dominique, anche lui condannato, e offerta, a sua insaputa, a decine di sconosciuti reclutati online. Alcuni di questi uomini sono ritornati più e più volte per aggredire sessualmente il corpo privo di sensi della donna. E a loro se ne aggiungerebbero almeno altri venti che non sono mai stati identificati.

Questo processo resterà nella storia non solo per le incredibili brutalità subìte da Gisèle, ma anche per aver mostrato un volto diverso del male: quello dell’uomo comune, del marito, dell’amico, del vicino di casa, del conoscente. Un male che si nasconde in chiunque e che si manifesta ogni volta che ne trova l’opportunità. In questo caso, l’opportunità era offerta dalla droga dello stupro: una sostanza che, somministrata in drink, cibi o persino in un gelato annienta la volontà della vittima, rendendola incapace di reagire, facendone un corpo su cui può sfogarsi la violenza senza lasciarne memoria. Questa violenza invisibile priva chi la subisce non solo della capacità di difendersi, ma anche del ricordo dell’accaduto. E ciò rende estremamente difficile denunciare, perché per le vittime che conservano nei propri corpi i sentori della violenza avvenuta aumenta il rischio di non essere credute.

Gisèle ha scoperto cosa le era stato fatto solo per mezzo dei video trovati sul computer del marito. Ma quante donne non lo scopriranno mai? Quante donne avranno subito violenze che non hanno lasciato tracce visibili e non possono darne prova? Quante donne denunciano e non vengono credute?

Ci sarà un prima e un dopo il processo legato al caso di Gisèle Pelicot ed è necessario che gli Stati adeguino le proprie normative, togliendo alle vittime l’onere della prova, che troppo spesso le trasforma in imputate. Nel caso dell’Italia, occorre modificare l’articolo 609 bis del codice penale, introducendo una definizione chiara e dettagliata di consenso, che è valido solo quando è espresso in modo inequivocabile, dunque non sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o alcool, e può essere revocato in qualsiasi momento. Senza consenso lucido ed esplicito, è inequivocabilmente stupro.

Gisèle Pelicot è uscita dall’anonimato e ha affrontato i suoi carnefici guardandoli negli occhi. Perché non è lei a dover provare vergogna, ma loro. Ora spetta al legislatore intervenire per garantire protezione e giustizia alle vittime di violenza sessuale. Gisèle ci ha mostrato la strada, noi dobbiamo seguirla.

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