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Giappone senza carisma

Essere ricordato per un primato è, di solito, un’ambizione che qualunque politico vorrebbe soddisfare. Shigeru Ishiba, l’attuale primo ministro giapponese, preferirebbe invece far dimenticare il suo: è il primo capo di governo del Sol Levante negli ultimi trent’anni a essere passato per il ballottaggio per essere eletto dal Parlamento, l’11 novembre scorso.
Al suo predecessore, e compagno di partito, Fumio Kishida, non è andata meglio, avendo raggiunto l’anno passato il record negativo decennale di consenso, con oltre quattro cittadini su cinque scontenti del suo operato. A rendere impopolare Kishida sono state sia l’incapacità di contenere l’aumento del costo della vita per i cittadini sia i problemi che hanno travolto il suo Partito liberale democratico. La formazione, che governa il Giappone quasi ininterrottamente da settant’anni, è finita sulla graticola prima per le relazioni poco trasparenti col controverso movimento religioso della Chiesa dell’Unificazione, poi per uno scandalo di fondi neri che ha fatto saltare parecchie teste, comprese quelle di tre ministri.


Così, approfittando delle primarie per il rinnovo della leadership, il premier ha abbandonato ogni carica e lasciato la patata bollente al collega. Politico di lungo corso, considerato un «battitore libero all’interno del partito», Ishiba è stato eletto alla testa dell’esecutivo una prima volta dal Parlamento a inizio ottobre. Alla ricerca però di una legittimazione popolare, si è lanciato in una scommessa politica che lo ha lasciato metaforicamente in mutande. Convocate infatti delle elezioni lampo a fine mese per la Camera Bassa, uno dei due rami del parlamento giapponese, è incappato in una sonora batosta, perdendo quasi 70 seggi e con loro la maggioranza assoluta. Eletto nuovamente premier solo grazie alle divisioni dell’opposizione, si ritrova ora a guidare un governo di minoranza assieme agli alleati del piccolo partito Komeito.

Pochi sono convinti che potrà terminare questo mandato, anche perché tra sette mesi i giapponesi torneranno al voto per il rinnovo della Camera alta, dove Ishiba potrebbe nuovamente perdere i numeri necessari a governare. Se vorrà sperare di recuperare terreno, il primo ministro dovrà dimostrarsi capace di affrontare le sfide, interne ed esterne, di cui è irto il percorso del Paese. Tra le priorità in casa, si è dato quella di porre rimedio alla crisi demografica che attanaglia il Giapponese tra invecchiamento della popolazione e crollo della natalità. Già oggi, infatti, la terra dei manga e del sushi è lo Stato più anziano al mondo, con il 29 per cento degli abitanti che ha dai 65 anni in su, mentre le culle rimangono sempre più vuote. Nel 2023, le nascite sono scese a circa 760 mila, il numero più basso mai registrato dall’inizio delle rilevazioni demografiche nel Paese. Un problema che ha forti ripercussioni sociali, culturali ma anche economiche. Entro il 2040, mancheranno 11 milioni di lavoratori, e già oggi un’azienda su due è costretta a tenere alla scrivania o alla catena di montaggio anche i settantenni per portare avanti le attività.
Ishiba non può quindi certo esimersi dal tentare di riequilibrare questi scompensi, visto che proprio ora il Giappone sta cercando di uscire da tre decenni di stagnazione economica. È stato soprattutto Kishida prima di lui a impegnarsi per stimolare l’economica nipponica, portando a casa un successo parziale, con una crescita lo scorso anno di quasi due punti percentuali, un valore tra i più alti degli ultimi decenni. Generando però un’ulteriore complicazione oggi in gestione al suo successore. Gli aumenti salariali non hanno infatti tenuto il passo con l’inflazione e il cittadino medio ha visto il suo potere d’acquisto erodersi sempre di più negli ultimi anni, soprattutto per i generi di consumo.

Un trend che si è tradotto spesso nella «shrinkflation»: nei supermercati, i cittadini si sono ritrovati a pagare lo stesso prezzo per cartoni con meno succo di frutta dentro, onighiri con meno ripieno di tonno e così via. Ishiba, oltre ad aver rivolto una personale esortazione alle gargantuesche aziende giapponesi affinché continuino a rivedere al rialzo le buste paga, si appresta anche a varare una manovra straordinaria che vorrebbe come panacea di tutti i mali.
Si tratta di un pacchetto di incentivi del valore di circa 14 trilioni di yen, pari a 88 miliardi di euro, che spazia dai sussidi sul carburante ad aiuti economici alle famiglie più povere. Include anche un innalzamento del reddito minimo detassato, nonostante gli alti costi per le casse pubbliche: il prezzo che Ishiba pagherà per avere il necessario appoggio esterno del Partito democratico per il popolo, formazione populista che aveva fatto di questa misura uno dei suoi cavalli di battaglia in campagna elettorale.

Guardando invece fuori casa, il governo giapponese deve fare i conti con la crescente belligeranza nordcoreana e con l’espansionismo cinese. A novembre, i test missilistici e l’invio di truppe in Ucraina decise dal dittatore di Pyongyang Kim Jong-un hanno suscitato una risposta immediata da parte di Tokyo, che ha tenuto esercitazioni militari con gli alleati statunitensi e sudcoreani. Oltre a spedire velocemente il ministro degli Esteri Takeshi Iwaya a Kiev per firmare un accordo d’intelligence.
Dove la diplomazia dovesse fallire, il Giappone non ha in ogni caso intenzione di farsi trovare impreparato. Lo scorso agosto il ministero della Difesa dell’allora governo Kishida ha chiesto un aumento del budget, il tredicesimo consecutivo, per il prossimo anno fiscale, portandolo così a 8,54 trilioni di yen, circa 53 miliardi di euro, la cifra più alta di sempre.

Tra i partner preferenziali per la difesa c’è anche Roma. «Giappone e Italia, attori chiave nella cornice Nato-Ip4, collaborano a progetti di industria della difesa come il Global Combat Air Programme, che include anche il Regno Unito, migliorando lo sviluppo tecnologico e l’interoperabilità» spiega Giulio Pugliese, ricercatore presso il King’s College London e l’Istituto Universitario Europeo. «L’aumento della spesa per la difesa e le regole più permissive sulle esportazioni di armi del Giappone completano le competenze industriali italiane. Questa cooperazione, rafforzata da partenariati strategici e allineata agli interessi degli Stati Uniti, affronta le preoccupazioni condivise in materia di sicurezza riguardo alla Cina, collegando la sicurezza euro-atlantica e quella indo-pacifica».
Se Ishiba poteva essere convinto di avere una mano vincente, ora è calato però un jolly che potrebbe scompaginargli la partita, nell’ingombrante personalità di Donald Trump.
Il presidente eletto ha già annunciato dazi commerciali che potrebbero non solo colpire direttamente l’export giapponese verso gli Stati Uniti, assai sbilanciato a favore del Sol Levante, ma anche mettere in crisi la filiera delle industrie nipponiche in Cina, Vietnam e altri Paesi che hanno produzioni a buon mercato. Per non parlare dell’incognita in politica estera, dove aleggia lo spettro del fallito ma tentato riavvicinamento, anche personale, tra il leader americano e Kim Jong-un.
A fine novembre, Ishiba ha promesso che avrebbe incontrato il futuro inquilino della Casa Bianca per delle «discussioni franche»: l’azzardo più importante della carriera del premier giapponese forse potrebbe giocarsi a Washington anziché a Tokyo.

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