Sinner occhio ad Alcaraz, Djokovic un’incognita. E Zverev può inserirsi (Bertolucci). Novak adesso riparte con coach Murray. Caccia al titolo nr. 100 (Crivelli). Furlan: “Jasmine è sempre la stessa” (Nizegorodcew). Bellucci: “Metto ordine al mio gioco. Ma mi tengo la fantasia” (Strocchi)
Sinner occhio ad Alcaraz, Djokovic un’incognita. E Zverev può inserirsi (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)
Con la United Cup e i tornei di Hong Kong e Brisbane si apre il sipario sulla stagione 2025. E ancora fresco il ricordo dei trionfi di Sinner alle Atp Finals e in Coppa Davis insieme alla squadra, ed è già tempo di proiettarsi sull’anno che verrà. Il mese di preparazione invernale sarà servito a Jannik per cementare i suoi punti di forza e incrementare la resistenza alle fatiche, e agli avversari per provare a studiare i dettagli che possano mettere in difficoltà il numero uno del ranking. Perché si riparte da una certezza consolidata: l’azzurro è il punto di riferimento, l’uomo da battere, la preda ambita con il bersaglio sulla schiena per i cacciatori che lo inseguono. Sinner è il più forte del mondo, e già dagli Australian Open, dove difende il titolo conquistato 12 mesi fa, dovrà rimarcare il suo status di leader del circuito di fronte a rivali agguerritissimi. Ecco il loro borsino. Alcaraz pericolo n.1 Anche se la classifica lo relega al momento al numero tre, lo spagnolo sarà l’avversario più temibile per Jannik. Nel 2024 è rimasto imbattuto nelle sfide dirette ufficiali (tre vittorie su tre), la dimostrazione che nella bolgia dei momenti più caldi Carlitos non soffre la personalità del grande rivale e possiede le armi per disinnescarlo: Insieme, si sono spartiti i quattro Slam e al momento viaggiano in un’altra dimensione rispetto a tutto il resto della concorrenza. Eppure il ranking e i tornei vinti quest’anno (otto per Sinner e quattro per Alcaraz) non mentono: lo spagnolo ha bisogno di un ulteriore salto di qualità per rimanere alla pari. Non si tratta di doti tecniche, dove l’allievo di Ferrero eccelle per completezza, quanto piuttosto di sfumature mentali: nell’anno ha perso partite contro avversari con pedigree non eccelso di cui Sinner invece ha sempre disposto a piacimento, e in generale nelle giornate no, quando la partita si complica e diventa sporca, il murciano fatica ad applicare un piano B, incartandosi in soluzioni di forza con poco costrutto. […]. Zverev, ultimo treno In estate, il tedesco conservava addirittura remote possibilità di salire al n.1 del mondo, ma lui stesso è consapevole che il suo livello non lo colloca all’altezza di Sinner ed Alcaraz, ed anzi il percorso da compiere per avvicinarsi è tortuoso. Eppure Sasha è l’unico (e l’ultimo) della generazione dei nati negli anni 90 a poter coltivare qualche ambizione di porsi come terzo incomodo nel dualismo tra i giovani fenomeni e si è altresì reso conto che il treno per gli Slam, il grande obiettivo fin qui mai raggiunto, rischia di passare definitivamente senza un cambio di rotta. E così, fermo restando il servizio che rimane un’arma letale, dagli ultimi mesi dell’anno abbiamo assistito a un cambiamento nell’atteggiamento: è diventato più propositivo piu aggressivo, avvicina con maggior frequenza la rete e non disdegna variazioni al solito bombardamento da fondo. Solo così, del resto, può pensare di impensierire Jannik e Carlos. Resta l’incognita della tenuta mentale nelle fasi più calde dei match, dove tende sempre a tornare nell’ombra. Se rinsalderà la testa, potrà certamente provare ad approfittare degli eventuali cali di condizione dei due giovani giganti, anche negli Slam, in particolare a Parigi. Mistero Nole. Si racconta che le leggende non muoiano mai, e Djokovic sembra avere tutte le intenzioni di rinverdire l’assioma. Però stiamo comunque parlando di un giocatore di quasi 38 anni con vent’anni di attività ad altissimo livello sulle spalle, in possesso di un fisico ancora eccezionale ma che nell’ultimo anno ha mostrato qualche comprensibile crepa. È evidente che Nole si concentrerà sugli Slam e poco altro, sarà un rivale assai ostico sul cemento di Melbourne e New York e soprattutto sull’erba sacra di Wimbledon. Eppure sono tante le incognite che lo accompagneranno: quanto è rimasto della feroce determinazione che ne ha fatto uno dei guerrieri più indomabili della storia del tennis? Quanto la sua testa avrà metabolizzato l’idea di poter convivere con la superiorità ormai acclarata di Sinner e Alcaraz, quasi un affronto a una carriera magica? La scelta di Murray come coach, ruolo mai ricoperto, più che a sistemare nuovi dettagli pare orientata proprio a ritrovare le motivazioni mancanti. Gli outsider. Il tennis è uno sport affascinante perché sa offrire sempre nuovi spunti, ma non riesco a immaginare altri protagonisti che possano inserirsi con continuità nella lotta per i titoli maggiori. Certo, se Rune si lascerà alle spalle i fantasmi mentali dell’ultimo anno, potrà rappresentare un’insidia per tutti, perché possiede la tecnica e la personalità per affrontare i super big senza timori reverenziali. I grandi picchiatori come Shelton, Fils e l’altro francese Mpetshi Perricard saranno pericolosissimi nelle giornate in cui il loro servizio si rivelerà ingiocabile, ma sono ancora lontani dalla continuità di rendimento richiesta per avvicinarsi al sogno Slam. Per il futuro, cioè dopo almeno due anni di ulteriore maturazione, il brasiliano Fonseca e il ceco Mensik mi sembrano i più attrezzati. E sull’erba, più ancora che sulle altre superfici, voglio dare una chance a Berrettini, che se ritrova la condizione fisica ideale è un giocatore che può tranquillamente stazionare in top ten a dar fastidio a molti se non a tutti.
Novak adesso riparte con coach Murray. Caccia al titolo nr. 100 (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Avversari per una vita. Fin da bambini. Tanto da diventare, quasi subito, i “gemelli” di maggio. Del 1987 Andy Murray nato il 15, Novak Djokovic giusto una settimana dopo, il 22. […]. Così, dopo 36 confronti diretti tra i pro’, di cui ben 7 finali Slam (quattro agli Australian Open, una al Roland Garros, una a Wimbledon e una agli Us Open), Nole (che è avanti 25-11) e Muzza si ritrovano a battagliare dalla stessa parte, con lo scozzese, ritiratosi dopo l’Olimpiade parigina, che ha accettato l’offerta del Djoker per iniziare la sua avventura da coach. La scelta Una combinazione potenzialmente esplosiva, benedetta da un guru come Brad Gilbert («Sono fatti l’uno per l’altro») ma che lascia perplesso ad esempio Gilles Cervara, allenatore di Medvedev («Andy deve imparare tutto del mestiere di coach»). Nole, però, aveva certamente bisogno di nuovi stimoli dopo una stagione impreziosita dal trionfo olimpico durante la quale tuttavia Sinner e Alcaraz hanno chiaramente dimostrato che il passaggio di consegne ormai è irreversibile. Djokovic ha nel cuore e nella testa l’ultimo traguardo, lo Slam numero 25 del primato assoluto, donne comprese, e ritiene che i consigli di qualcuno che abbia appena smesso di giocare e dunque conosca tutti i suoi avversari, per di più con la meritata fama di raffinato stratega, possa rinfocolame le motivazioni. Intanto, dopo aver giocato l’ultimo match a Shanghai a ottobre (finale persa contro Sinner), il serbo, sceso al n.7, ha scelto Brisbane (da oggi) per mettere subito benzina agonistica nel motore e provare a inseguire un altro obiettivo prestigiosissimo: diventare centenario come Connors e Federer, gli unici ad aver vinto almeno 100 tornei in carriera (lui è a 99). E chissà che il tocco magico di Murray (peraltro assente al primo appuntamento stagionale, sarà agli Australian Open) non possa subito fare effetto. Le parole «Mi sono ritrovato a pensare alla prossima stagione e stavo cercando di comprendere di cosa avessi bisogno in questa fase della mia carriera – ha detto Novak – e dopo aver terminato il mio rapporto con Ivanisevic d ho messo circa sei mesi per capire se avessi bisogno di un allenatore. E mi sono reso conto della necessità di avere nel mio box, in questo momento, qualcuno che abbia vissuto le mie stesse esperienze, possibilmente qualcuno che abbia vinto titoli Slam e che sia stato numero 1. Così ho chiamato Andy per vedere se la mia idea fosse realizzabile. L’ho colto un po’ di sorpresa, onestamente, ma ci siamo subito intesi e la sua risposta positiva è arrivata nel giro di pochi giorni. Non potrei essere più eccitato, è una collaborazione positiva per il tennis. Andy è stato uno dei miei più grandi rivali, abbiamo la stessa età. Non vedo l’ora di rimettermi all’opera». Il gemello ha di nuovo fame.
Furlan: “Jasmine è sempre la stessa” (Alessandro Nizegorodcew, Il Corriere dello Sport)
[…]. Renzo Furlan, coach di Jasmine Paolini e prossimo capitano azzurro in United Cup (Italia al via domani alle 7.30 contro la Svizzera), racconta la sua allieva pronta alla (difficile) stagione della conferma. «Purtroppo i tempi sono stati ristretti e ci siamo allenati poco. La Billie Jean King Cup è terminata il 20 novembre e, dopo un periodo di vacanza, abbiamo ripreso da non molto. Dopo un periodo di training a Dubai stiamo lavorando anche qui a Sydney e lo faremo durante la United Cup. Post Australian Open abbiamo previsto un altro periodo di allenamento». Qual è stata la genesi del connubio Furlan-Paolini? «Ho visto Jasmine la prima volta in un torneo under 14 a Livorno. Aveva perso 7-5 6-4 la semifinale contro Georgia Brescia (ex n.184 WTA, ndr) dopo un match durissimo. Mi colpirono grinta, determinazione e una tecnica già ben impostata. Quella partita mi rimase impressa, quando ricordo il risultato esatto vuol dire che c’è un motivo valido. L’ho rivista poi anni dopo al centro tecnico federale di Tirrenia, seguita da un ottimo allenatore come Daniele Ceraudo. Ho ricevuto la telefonata di Jasmine, che mi chiedeva di seguirla, a settembre Da lì è nata la nostra avventura, anche se inizialmente mi sono dovuto dividere tra lei e la federazione tennistica serba, con cui avevo appena stretto un accordo». Inizialmente Jasmine aveva nella terra battuta la superficie preferita, oggi appare invece il “veloce’: «Tennis e consapevolezza di Paolini hanno avuto negli anni un’evoluzione. La prima volta che è venuta da me le ho chiesto su quale terreno si trovasse meglio. Pochi lo sanno, ma mi rispose: “il cemento”, quello più lento. Pian piano invece, anche cambiando alcuni aspetti del proprio tennis, cominciò a trovarsi meglio sulla terra battuta. Oggi predilige il cemento rapido». Dopo la finale al Roland Garros c’era il rischio che Jas” potesse perdersi un po’ a causa dell’esposizione mediatica improvvisa. «Le sue giornate, anche per via di sponsor e altri impegni, sono cambiate, ma i suoi comportamenti sono gli stessi di sempre. C’è un aspetto, però, che è stato utile a mantenere i piedi per terra». Quale? “Jasmine, dopo la finale a Parigi, si è riposata per quattro giorni; poi siamo andati, con una settimana di anticipo rispetto all’inizio del torneo, al WTA di Eastbourne. Un evento bellissimo, sia maschile che femminile, con l’hotel che dista cinque minuti a piedi dal circolo. ‘Tutto questo ci ha permesso di allenarci con tranquillità e serenità mantenendo un basso profilo. Jasmine ha quindi giocato per trenta giorni di fila». Una caratteristica che ha accompagnato gli exploit di Paolini è la difficoltà nei primissimi turni. Poi, quando prende il via… «È vero, se entra in fiducia diventa pericolosa per tutti. I primi turni sono sempre insidiosi, bisogna comprendere il proprio livello e adattarsi alle condizioni di gioco. Se ripenso al primo turno a Wimbledon contro Sara Sorribes Tormo, mamma mia… Non giocò male, ma fu un incontro ricco di alti e bassi. Nelle sfide successive Jasmine ha alzato vertiginosamente il ritmo». Contro Emma Navarro, nei quarti di finale, ha giocato il match perfetto? «Si, è stato l’incontro dell’anno per qualità, anche se per alcuni aspetti la partita in ottavi di finale contro Madison Keys mi aveva colpito di più». Quali? «Io non guardo quasi mai i dati statistici, ma in quella circostanza rimasi sorpreso in positivo dai chilometri percorsi da entrambe le giocatrici, ben sopra la media. Non credo sia un caso che Madison si sia fatta male (il match finì 6-3 6-7 5-5 rit.), aveva speso tantissimo». Su cosa avete lavorato a Dubai in vista della nuova stagione? “Jasmine deve ancora migliorare nella gestione delle angolazioni al servizio: è cresciuta nella velocità massima e nella percentuale, ma sfrutta ancora poco gli angoli. Deve diventare più incisiva con il rovescio lungolinea e migliorare nel colpo in uscita dal servizio». Quanto è importante Sara Errani? «È una miniera di informazioni. Ha raggiunto il numero cinque del mondo in singolare e la prima piazza in doppio, mette tutta la sua esperienza a disposizione di Jasmine. Trasmette il suo vissuto. Giocare in doppio ha aiutato molto Jasmine tecnicamente e tatticamente. Nel 2025 i loro obiettivi saranno gli Slam». Oltre 100 match disputati tra singolare e doppio. Jasmine è riuscita però a trovare le ultime energie per il successo in Billie Jean King Cup. «Dopo le WTA Finals ci siamo confrontati, a causa di un problema al piede che Jasmine si porta dietro da un po’, ma in pochi secondi abbiamo deciso di non fermarci e puntare con grande convinzione sulla BJK Cup. Devo dire che la FITP l’ha aiutata tantissimo nelle figure di Tathiana Garbin, Vittorio Magnelli, dei fisioterapisti e del team medico. Si parla poco di quest’ultimo, ma Elisabetta Parra è stata fondamentale nella cura del piede di Jasmine. La Nazionale è davvero molto unita in tutti gli elementi». Obiettivi per il 2025? «Non pensiamo mai al ranking, viviamo giorno dopo giorno tenendo d’occhio il piede e preparando le singole prestazioni. Jasmine può giocare bene ovunque e, se sta bene, so che vale un posto in Top10. L’obiettivo è quello di raggiungere la massima prestazione possibile in ogni match che andremo a preparare. La classifica sarà una conseguenza di tutto ciò”.
Bellucci: “Metto ordine al mio gioco. Ma mi tengo la fantasia” (Gianluca Strocchi, Tuttosport)
[…] Mattia Bellucci appena un mese dopo aver terminato la stagione (85 match disputati, l’ultimo al challenger giapponese di Yokkaichi) si è rimesso in viaggio per i primi appuntamenti del caledario 2025, un anno in cui ambisce a un ulteriore salto di qualità. Lui che attualmente è n.103 della classifica mondiale dopo aver toccato il 18 novembre, per una settimana, il 100° posto nel ranking. «Tirando le somme il 2024 è stato particolarmente positivo sostiene il tennista nato il 1° giugno 2001 a Busto Arsizio – anche se all’inizio sono incappato in qualche ricaduta degli errori commessi in precedenza, focalizzandomi troppo sul risultato e poco sulla prestazione. Però poi la seconda parte di stagione è stata di grande qualità, riuscendo a entrare in tabellone dalle qualificazioni al Roland Garros, Wimbledon e US Open e affrontando per la prima volta un vincitore Slam e poi il n. 2 del mondo. Insomma, una serie di esperienze nuove che lasciano qualcosa di importante nel percorso di crescita. Per tutte queste ragioni credo di poter meritare un 7 e mezzo per ranno che stiamo per salutare». Dopo i tre titoli Challenger sul cemento messi in carniere (Saint Tropez e Vilnius 2022, poi Cassis 2023) il talentuoso mancino lombardo in un’annata straordinaria per l’Italtennis ha cominciato a frequentare con assiduità anche il circuito maggiore, raggiungendo i suoi primi quarti di finale ad Atlanta e facendosi apprezzare per la varietà e brillantezza di gioco. «Il momento più emozionante è stato aver superato le qualificazioni a Wimbledon – sottolinea Mattia, che si allena con Fabio Chiappini alla MXP Tennis Academy – ma in termini di soddisfazione non potrò dimenticare la vittoria con Wawrinka a Flushing Meadows, con il pubblico tutto schierato dalla parte del campione 2016. Una sensazione bellissima, mi sentivo a mio agio anche se stavo affrontando Stan in un grande stadio a New York, uno dei miei sogni di bambino. Dai match persi al 5° set con Tiafoe al Roland Garros e Shelton a Wimbledon ho sentito che il livello stava arrivando e che stavo facendo le cose giuste durante gli allenamenti. Portare in campo un po’ della mia personalità forte e andarmi a prendere determinate partite con carattere è stata la chiave. Senza dimenticare altri incontri di altissimo profilo come quelli con Zverev al 1000 di Shanghai o con Draper a Tokyo». Essere arrivato a ridosso della Top 100 non basterà però per essere direttamente nel main draw degli Australian Open, anche per via di diversi giocatori ammessi con il ranking protetto. «Amaro in bocca? Sinceramente no, perché per esempio gli Us Open hanno chiuso con un taglio ancora più alto. Sapevo che bisognava essere tra i primi 100 per entrare in tabellone, e lo dimostra il fatto che al momento l’ultimo dentro sia Fearnley, n. 99 Atp. Purtroppo per una serie di ragioni non sono riuscito a raccogliere quel che speravo negli ultimi challenger stagionali in Giappone, ma è inutile piangere sul latte versato. Abbiamo fatto due buone settimane di lavoro, fuori e dentro il campo, in particolare con qualche modifica tecnica al servizio che pare funzionare. Non vedo l’ora di mettermi alla prova, nel challenger di Canberra e poi nelle qualificazioni a Atp. «Rispetto al passato il diritto è diventato un’arma importante, mentre devo migliorare l’ordine in campo, a volte sono sconclusionato. Dipende pure dall’essere piuttosto umorale di carattere, gestire atteggiamento ed emozioni per me è importante. In tal senso sto lavorando con il mental coach Giuseppe Vercelli. Imparare non è una linea retta e mi serve tempo, non avendo il background di tanti miei colleghi: ho capito di aver bisogno anche di perdere certe partite. L’obiettivo principale per il nuovo anno è concentrarsi sulla prestazione e su ciò che devi fare con la necessaria energia e intensità, sia in allenamento che in partita. Vorrei essere un giocatore che fa della solidità il suo punto di riferimento, ma senza mettere da parte o perdere estro e servizio, il mio punto di forza»