Cinque anni di Covid: così la pandemia ha sbaragliato molte evidenze acquisite
A cinque anni dall’inizio della pandemia di Covid-19, i dati di bilancio sanitario sono ormai noti e ampiamente commentati. Vale però la pena confrontarli con quelli dell’influenza Spagnola, occorsa un secolo prima, nel biennio 1918-1919.
A causa del Covid, ci sono stati più di 7 milioni di morti nel mondo, di cui oltre 2 milioni in Europa, quasi 200 mila in Italia e oltre 1 milione negli Stati Uniti. A causa della Spagnola, invece, si stima che ci siano stati circa 50 milioni di morti nel mondo, di cui 2,5 milioni in Europa e 600 mila in Italia, un numero quasi pari a quello dei ben più popolosi Stati Uniti.
Nonostante il minor impatto, l’assenza di guerra e cent’anni di progressi nella medicina, la pandemia da Covid ha sbaragliato molte evidenze acquisite, alcune delle quali sono entrate a far parte della cultura comune. Questo ha determinato un effetto sorpresa che ha disorientato anche la Scienza, fino al punto di metterne in dubbio la credibilità, alimentando di conseguenza un pensiero anti-scientifico con derive complottiste. Inoltre, la pandemia è diventata terreno di lotta tra opposte fazioni, non solo politiche, ma anche culturali. Questo ha creato uno scenario caotico e inquietante, che ha caratterizzato la pandemia da Covid-19. Vediamo quindi, almeno a posteriori, di comprenderne le ragioni.
Forse la sorpresa maggiore è stata la capacità degli infetti asintomatici di trasmettere l’infezione ai sani, rendendo impossibile il cosiddetto “approccio sindromico al tracciamento dei contatti”. Quest’approccio, che si basa sull’identificazione e il monitoraggio dei casi attraverso i sintomi piuttosto che con esami di laboratorio, permette di individuare rapidamente focolai infettivi, isolarli e, a scopo preventivo, prefigurare tendenze e diffusioni analizzando le informazioni con opportuna modellistica. L’elevato numero di casi asintomatici ha confuso lo scenario pandemico e ha reso impraticabile la sua rappresentazione. Si è quindi dovuto ricorrere ai test di screening (tamponi) su vasta scala, che, essendo tali, producono soprattutto falsi negativi e richiedono conferma con esami di laboratorio più specifici. Un’enorme domanda di reagenti che, almeno inizialmente, ha travolto l’offerta, consentendo al virus di propagarsi indisturbato.
La velocità di diffusione esponenziale del virus è stata talmente rapida che impediva di prendere decisioni efficaci. Quando i dati più recenti diventavano disponibili, erano già superati, rendendo anacronistici anche i provvedimenti più tempestivi. Il background infettivologico, costruito necessariamente su passate esperienze epidemiche, ha suggerito il distanziamento sociale, l’isolamento e l’utilizzo di mascherine a bassissima porosità (MMP2) per ostacolare l’ingresso del virus. Ancora una volta, la domanda di mascherine ha ecceduto la disponibilità dell’offerta, con conseguenze che hanno reso quasi incompatibile l’intera vita sociale.
Il dilemma era quello di saper scegliere nell’immediato il male minore. Ma non finisce qui, perché il virus è in grado di reinfettare soggetti appena guariti, mutando continuamente in tempi rapidi e bypassando l’immunità acquisita con la malattia. La stessa cosa è successa con i vaccini, che hanno dovuto coprire un numero sempre maggiore di varianti virali, sfondando ogni barriera immunologica. A completare il quadro, il Long Covid, ovvero la capacità del virus di persistere nell’organismo e, attraverso meccanismi patogenetici complessi, configurare un disturbo multisistemico e invalidante. Il rischio di contrarre il Long Covid aumenta quanto più grave è stata l’infezione acuta che lo ha preceduto, e se c’è una preesistenza di cronicità.
L’Oms stima a livello globale che tra il 10% e il 20% dei casi di Covid abbiano sviluppato questa complicanza, ossia circa 100 milioni di persone nel mondo, di cui oltre 17 milioni in Europa e 2,5 milioni in Italia. Una lotta impari che, oltre a far apparire soverchiante la potenza offensiva del virus, ha messo alla berlina, o peggio sotto accusa, i provvedimenti difensivi adottati, che hanno deluso ogni aspettativa. Si sono scardinate certezze antiche, e sono state mosse accuse di incompetenza al sistema sanitario e alla parte politica chiamata a governare il Paese. Sono sorte questioni di Diritto, come il rapporto tra libertà personale e tutela della collettività, e tra Stato di diritto e Stato autoritario, soprattutto riguardo all’obbligo vaccinale, che ha spinto giuristi e filosofi a vivaci discussioni.
Analogamente, l’emergenza pandemica ha creato enormi tensioni tra beni primari, parimenti tutelati dalla Costituzione, come salute, lavoro e istruzione, strettamente correlati tra loro e quindi difficilmente gerarchizzabili rispetto ai necessari provvedimenti da adottare. Si sono susseguite aperture e chiusure del lockdown, con deroghe per i Servizi essenziali, il tutto caratterizzato da un’incertezza che non ha reso le misure sempre chiare e convincenti, soprattutto in un Paese come il nostro, culturalmente refrattario al concetto di probabilità. Tenere la barra dritta in una navigazione tanto tempestosa e non farsi travolgere dal caos è stata per le nostre Istituzioni la sfida più ardua dal dopoguerra.
La salvezza è stata però possibile perché, in meno di 12 mesi dal riconoscimento genomico del virus, il vaccino era già pronto per la produzione di massa. Per i vaccini tradizionali, il tempo medio di sviluppo è stato di 10-15 anni. L’accelerazione del processo di sviluppo del vaccino per il Covid-19, che non ha saltato alcuna fase preclinica e clinica, sarebbe stata impensabile senza decenni di investimenti nella ricerca di base, in particolare sull’RNA messaggero. Ora, la nuova frontiera della ricerca vaccinale è studiare prototipi di virus per ogni famiglia ad alto rischio pandemico, in modo da predisporre in anticipo piattaforme vaccinali ottimali.
Secondo l’Oms, la vaccinazione ha ridotto della metà sia la mortalità che la malattia grave, soprattutto quella che richiede la terapia intensiva, e ha ridotto, seppur parzialmente, anche l’incidenza di nuovi casi, reinfezioni e Long Covid. Questi risultati sono stati confermati da più studi validati con peer review, condotti da autori di diverse regioni geografiche, compreso il nostro Paese.
Gli effetti indesiderati della vaccinazione sono stati molto frequenti ma di breve durata e di entità modesta. Rari quelli gravi, come le trombosi cerebrali (1 caso ogni 100.000 vaccinazioni), in particolare nelle donne sotto i 60 anni, causate dai vaccini a vettore virale, come AstraZeneca e Johnson & Johnson. Rari anche i casi di reazioni anafilattiche, comprese tra 2-5 per milione di dosi somministrate. Escludendo i vaccini a vettore virale, il rischio di effetti indesiderati è sovrapponibile a quello delle vaccinazioni tradizionali.
Infine ricordiamo, come monito, che la maggior parte degli agenti patogeni umani emergenti sono zoonotici, cioè in grado di passare da un serbatoio animale agli esseri umani. Deve essere alta l’attenzione all’interfaccia tra esseri umani, animali domestici e fauna selvatica. Ne consegue la necessità di limitare rigorosamente il disboscamento, il degrado delle foreste e gli allevamenti intensivi. Ancora una volta, come per il clima e l’inquinamento, ne va del rapporto originario con una Natura alla quale apparteniamo, insieme e non contro le altre specie viventi.
L'articolo Cinque anni di Covid: così la pandemia ha sbaragliato molte evidenze acquisite proviene da Il Fatto Quotidiano.