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2025: è l’anno di Pavia, con la rievocazione della battaglia del febbraio 1525 che cambiò la storia

PAVIA. Il 2025 per Pavia è l’anno delle grandi celebrazioni: cinque secoli fa, in città e negli immediati dintorni, si combatteva una battaglia che avrebbe ridisegnato i confini dell’Europa, mettendo però - questo va ricordato - in ginocchio i pavesi, costretti a subire a lungo scorrerie, violenze, assedi di truppe e soldataglia che si trovavano a passare nei pressi del Ticino. Tanto che – ricorda Marco Galandra nella sua Storia di Pavia (Gianni Iuculano editore) – il veneziano Leandro Alberti, di passaggio in quegli anni, trovò la città così devastata e in rovina che scrisse: «Era gran compassione a vederla».

Pavia nel XVI secolo Antica capitale del Regno Longobardo e poi di quello Italico, Pavia era agli inizi del ’500 la seconda città del Ducato di Milano, sede di uno Studium generale voluto da Galeazzo II Visconti. Una città turrita, con un castello trecentesco abbracciato da un grande parco, con un altro piccolo castello, a Mirabello, e un numero di chiese che lo storico Breventano stimava in 160. «Rende di sè - scriveva Breventano – un dilettevole et meraviglioso spettacolo et ha una bella prospettiva».

Le ambizioni di Spagna e Francia

Con l’elezione a imperatore di Carlo V, nel 1521, le schermaglie tra Spagna e Francia diventano feroci. Il nuovo sovrano, sul cui impero - si vanta lui - «non tramonta mai il sole», pretende anche il Ducato di Milano. I francesi lo perdono subito ma non si arrendono e si dirigono sulla vicina Pavia, difesa da 1500 uomini di Federico Gonzaga e da 5mila lanzichenecchi tedeschi agli ordini dello spagnolo Antonio De Leyva.

Il primo assedio del 1522

L’assedio, mosso nell’aprile del 1522, dura poco. I francesi sono costretti a indietreggiare, scoraggiati da una difesa strenua (gli abitanti di Pavia sono in quel momento circa 10mila e arrivano a quasi 18mila se si conta la guarnigione degli imperiali) e anche da piogge torrenziali che allagano gli accampamenti, mentre il Ticino gonfio spazza via il ponte in barche di collegamento che garantiva i rifornimenti dalla Lomellina.

Il nuovo assedio di Pavia

Nell’ottobre del 1524 Francesco I scende di nuovo in Italia alla testa di un poderoso esercito di 35mila uomini. Troppi per gli imperiali che abbandonano Milano, ripiegano su Lodi e lasciano una forte guarnigione a Pavia. «Proprio come Carlo V sperava – ricorda Luigi Casali nel volumetto "Che battaglia per una zuppa” (Univers edizioni) –, il re di Francia anziché inseguire gli imperiali in ritirata, commette il fatale errore di assediare Pavia».

L’alba fatale

A ottobre l’esercito francese è schierato sotto le mure di Pavia, in novembre pianta le tende a San Lanfranco e i lanzichenecchi della Banda Nera occupano il monastero di San Lanfranco. I due eserciti si fronteggiano per settimane con scaramucce e duelli d’artiglieria.

«Alla fine – racconta ancora Casali – gli imperiali, spinti dalle richieste di aiuto di De Leyva e e dalla mancanza di viveri e denaro per pagare le truppe mercenarie, decidono di agire». Alle prime luci dell’alba del 24 febbraio 1525 irrompono nel Parco Vecchio, a Due Porte, e sorprendono i francesi alle spalle, aiutati da 3mila archibugieri al comando di Alfonso d’Avalos. Protetti dalla nebbia, i fanti imperiali passano la Vernavola che diventa un feroce campo di battaglia non appena sopraggiunge anche Francesco I con la cavalleria.

Le armi moderne

A decidere le sorti della battaglia sono le nuove armi introdotte: pesanti palle sparate dagli archibugi e una grandine di piombo che riesce a perforare anche le più solide armature dei francesi. La battaglia infuria ma dura meno di due ore. Francesco I si batte da valoroso sul campo, però viene catturato.

Gli anni bui

La schiacciante vittoria imperiale non porta tuttavia la pace in città. I lanzichenecchi tedeschi non si accontentano del bottino e chiedono di essere pagati. Pavia diventa oggetto di scorrerie brutali. I francesi, desiderosi di riscatto, tornano ad assediare la città anche nel 1527: bombardano le mura, abbattono l’ala settentrionale del castello. Da qui entrano e mettono di nuovo a ferro e fuoco in cerca di bottino. Per otto giorni chiese e monasteri vengono saccheggiati, le donne violentate, la statua del Regisole abbattuta. Solo nel 1528 gli spagnoli guidati da de Leyva si riprendono Pavia ma, ancora una volta, la città viene saccheggiata. —

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