World News

Il Mondiale per club e la megalomania di Infantino: tutti gli inganni e gli errori del torneo che segnerà il 2025 calcistico

“È un errore clamoroso. La Fifa dovrebbe occuparsi delle nazionali, non delle squadre di club”. Parole pronunciate da Sepp Blatter in un’intervista al quotidiano svizzero 24 heures. Difficile dargli torto, nonostante del peggior presidente della storia della Fifa, nonché responsabile del sorteggio Mondiale più taroccato di sempre, nessuno avrebbe voglia di ascoltare lezioni. Ma l’attuale numero 1 del calcio mondiale, Gianni Infantino, sta riuscendo nell’impresa apparentemente impossibile di farlo rimpiangere. E per chi avesse ancora qualche dubbio è sufficiente leggere le cronache sull’assegnazione farsa del Mondiale 2034.

Ma una sola coppa del mondo – l’unico torneo Fifa a generare un notevole gettito di entrate nelle casse della Federazione – non poteva bastargli, nemmeno ingigantito e deformato a 48 squadre partecipanti. Quindi ecco la tanto discussa versione extra large del Mondiale per Club, al suo secondo restyling dopo quello del 2005, nato sulle ceneri del fiasco dell’agenzia di marketing ISL. Due primati il Mondiale per Club 2025 li ha comunque già raggiunti. Il primo: ha rappresentato un caso unico al mondo di torneo nel quale la canzone ufficiale è stata annunciata prima delle modalità organizzative del torneo stesso, ovvero le date e le sedi delle partite. E questo già la dice lunga su quante e quali difficoltà abbia incontrato il progetto di Infantino. Secondo: è con tutta probabilità il primo torneo al mondo sulla cui coppa sia inciso non una, ma ben due volte, il nome del presidente della Federazione organizzatrice. Roba da culto della personalità. Del resto, viste le frequentazioni – e le assegnazioni – di Infantino, non c’è molto da sorprendersi.

Al netto di tutte le criticità che il Mondiale per Club 2025 si porta appresso, e delle quali si è già parlato tanto, sotto il profilo puramente sportivo si tratta di un torneo inutile, oltre che inutilmente annacquato in un brodo di inclusività che è solo di facciata. Un torneo creato dalla Fifa per la Fifa – o meglio, per le sue casse – che a differenza del Mondiale per nazionali non può contare nemmeno sullo stesso bacino di utenza globale. Se le partite dell’Inghilterra o dell’Italia in coppa del mondo le guardano tutti gli appassionati di calcio – anche tiepidi – dei rispettivi paesi, è difficile pensare a fan di Liverpool o Milan interessati a queste partite, se non per motivi di tifo contro. Se non si è malati terminali di pallone, è arduo immaginarsi levatacce per Esperance-Leon, mentre per contro Messico-Tunisia il suo valore all’interno di un Mondiale lo possiede senza alcun dubbio, vuoi anche per il contesto di evento globale ma non elitario che continua a rendere la coppa del mondo, a dispetto di certe derive, unica.

Qualcuno potrebbe chiedersi dove si trova l’elitarismo quando partecipa una squadra come il Red Bull Salisburgo, tutto tranne che un club europeo di prima fascia. Si tratta di una semplice astrusità regolamentare relativa al divieto per un paese di essere presente con più di due squadre, salvo abbiamo tutte vinto la Champions nell’ultimo quadriennio, e conseguente scorrimento della graduatoria del ranking – in questo caso si è arrivati fino al 18esimo posto.

Il nuovo Mondiale per Club rischia di essere una Champions League 2.0, anzi, 1.1, visto che propone un format simile alla vecchia Champions, partite di andata e ritorno escluse, con tutti i difetti di quel torneo. In primo luogo, l’inutilità dei gironi, dove il divario tra le big e le rimanenti è talmente elevato da rendere i match delle semplici amichevoli. Bayern Monaco-Auckland City è forse più elettrizzante di Bayern Monaco-Young Boys? E Inter-Urawa Red Diamonds è una sfida più competitiva di Inter-Slovan Bratislava? Quelli di Bayern e Inter sono nomi che, assieme a Psg, Manchester City e Real Madrid, ritroveremo nelle fasi finali, con potenziali sfide già viste e riviste nelle ultime stagioni europee. Forse ci sarà qualche sudamericana, ma si sarà dovuto aspettare almeno 48 partite per una sfida intercontinentale che sarebbe stata comunque presente nella versione light del torneo. Già di per sé nelle ultime edizioni raramente emozionante, a causa di una differenza di livello troppo elevata tra le rappresentanti europee – che hanno vinto le ultime 11 edizioni disputate – e il resto del mondo.

Alla fine, l’unica vera cosa che conta sono i soldi. Per evitare nuovi casi Real Madrid, con il tecnico Carlo Ancelotti che fece trapelare l’insoddisfazione del club per il montepremi, salvo poi smentire le sue stesse parole pochi giorni dopo, la Fifa non ha badato a spese mettendo sul tavolo 100 milioni di dollari solo per il vincitore. Un altro mondo rispetto ai 5 milioni portati a casa da chi aveva alzato la coppa nelle precedenti edizioni. Per la sola partecipazione è previsto un compenso di 50 milioni, con l’impegno a “schierare la miglior formazione possibile”, qualsiasi cosa questa frase significhi. In realtà i dettagli esatti sull’allocazione del montepremi non sono ancora stati pubblicati. Una mancanza di chiarezza in linea con la vaghezza che circonda la nuova versione del torneo, specialmente dal punto di vista finanziario, viste che le entrate del torneo rimangono poco chiare. La Fifa ha chiuso un accordo con Dazn per la cessione dei diritti tv per 1 miliardo di dollari; una cifra superiore agli 800 milioni scarsi attorno ai quali si erano arenate le trattative con Apple a inizio estate, ma ben lontana dai 4 miliardi ipotizzati da Infantino.

Sports Illustrated ha recentemente proposto un confronto tra la potenziale cifra che porterebbe a casa il vincitore del Mondiale (i citati 100 milioni di dollari) con quelle incassate da Real Madrid e Botafogo, rispettivamente ultime vincitrici di Champions League e Copa Libertadores. Gli spagnoli hanno incassato 89 milioni di dollari, i brasiliani 31.34. I soldi del Mondiale fanno quindi gola a molti club, soprattutto quelli dei continenti meno competitivi. In passato una buona Coppa del Mondo, anche senza vittoria, ha rappresentato una manna per alcune squadre. Nel 2010, dopo essere diventato il primo club non europeo o sudamericano a raggiungere la finale, i congolesi del TP Mazembe utilizzarono il denaro per sviluppare le proprie infrastrutture e migliorare il loro vivaio, trasformandosi in una forza dominante nel calcio africano. Nel 2016 i giapponesi del Kashima Antlers investirono nel loro stadio e nel centro di allenamento, consolidando la loro posizione di forza nella J-League. Ma l’obiettivo sbandierato da Infantino di rendere il calcio “veramente globale” sembra allontanarsi anziché avvicinarsi. Perché il Mondiale per Club redistribuisce ricchezza in maniera selettiva ottenendo l’effettivo contrario, ossia consolidare l’elitarismo garantendo alle big di rimanere sempre più salde sul loro trono e sempre più distanti dal resto del movimento. In poche parole, quello che da vent’anni sta già facendo, in Europa, la Champions League.

L'articolo Il Mondiale per club e la megalomania di Infantino: tutti gli inganni e gli errori del torneo che segnerà il 2025 calcistico proviene da Il Fatto Quotidiano.

Читайте на 123ru.net