Nazione & finanza. Come l’Ue vuole uccidere l’auto italiana a favore di Pechino (e come reagire)
Stellantis è tornata a far parlare di sé con la sostituzione dell’Ad Tavares. È una storia (a suo modo) affascinante, perché Tavares è stato uno dei principali sostenitori del mercato full electric. C’è stato un periodo, tra il 2019 e il 2020, dopo gli impermeabili gialli di Greta Thunberg, in cui pareva che l’elettrico nel mondo dell’auto sarebbe stato l’unico futuro possibile. Se guardiamo oggi i dati su produzione e vendite ci pare una allucinazione collettiva. Ma questa impressione non derivava dal mercato. Era stata generata da un mix che sarebbe esploso di lì a poco. E che, nell’esplodere, ha sabotato l’intero mondo dell’auto italiana. Regalando enormi soddisfazioni ai cinesi.
“Forzare” il cambiamento
Il mondo dell’auto elettrica è sempre vissuto di politica. Tra incentivi e sconti, la scommessa era quella di poter utilizzare i tassi molto bassi delle banche centrali per forzare una transizione del mercato. Il termometro di questo cambiamento sono i fondi Esg (Enviroment, Social, Governance), che nel 2021, al loro picco, mobilitavano 70 miliardi di dollari. Tre volte il valore che avevano nel 2020. La scommessa era usare i fondi pubblici per forzare il cambiamento.
E il mercato finanziario pareva seguire, con i fondi Esg che performavano molto meglio degli altri. Poi è arrivata la guerra in Ucraina, l’esplosione dell’inflazione e il rialzo dei tassi. Si è inceppata la “stampante” che aveva acceso Draghi nel 2011 (”Whatever it takes”). I tassi a settembre 2023 hanno toccato il 4,50%. Dal 2016 al 2022 erano a 0. A quel punto, fallita la strada keynesiana dell’investimento pubblico, si è puntato sulla cara vecchia via socialista. A maggio è stata ratificata dal Parlamento Ue la decisione mediata dal trilogo (Parlamento-Consiglio-Commissione) che prevede il divieto di produzione di auto a combustione interna dal 2035.
Il suicidio europeo
Questa decisione ha contribuito ai risultati negativi di verdi e socialisti alle Europee. Intanto, purtroppo, il frutto avvelenato della vicenda è che il mercato prezza anche l’incertezza. E la gente ha smesso di comprare. Si parla di un -50% solo in Italia. Le ragioni sono molte, ma prezzi e incertezza sul futuro sono le principali. Anche perché l’Italia, va ricordato, aveva puntato forte sui biocarburanti: non necessariamente elettrico, purché inquini poco. La scelta europea è stata di avere solo elettrico. Questo ci butta fuori mercato, bloccando da subito gli investimenti sulla produzione, deprimendo ulteriormente la produzione industriale (-3,6% su base annuale).
Festeggiamenti cinesi…
Chi festeggia in tutto questo? La Cina. In Cina, dove le centrali elettriche spuntano come funghi, in particolare quelle nucleari, l’auto elettrica è già diffusa e le economie di scala sono già presenti. Per dire, a luglio si sono immatricolati più veicoli elettrici che a combustione interna. Il costo delle utilitarie elettriche è sceso sotto i 17mila euro. Questi numeri parlano di una invasione imminente. Una invasione a cui non siamo pronti a reagire, per colpa delle scelte di Bruxelles che hanno causato la debolezza strutturale del mercato dell’auto europea. Gli obiettivi che hanno generato quelle norme sono altrettanto europei. Ci metteranno all’angolo i cinesi ma ce la saremo cercata tutta noi.
Come uscire da questa situazione? Correttamente il ministro Adolfo Urso ha chiesto di anticipare la data di revisione dello stop ai motori termici. Doveva essere nel 2026, ma farla domani sarebbe l’ideale. E dopo averla rivista va cancellata. È una misura inutile, ideologica e suicida. Poi dobbiamo fronteggiare i dazi americani, aprendo il mercato all’auto americana e puntando sull’innovazione vera: gli e-fuel, l’idrogeno. Qualsiasi cosa, insomma, tranne l’elettrico dove abbiamo perso. E, se possibile, evitare di giocare al capitalismo di Stato contro la Cina. Sono molto più forti di noi in questo campo. E, a sfidarli, ci possiamo solo fare male.
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