Zuckerberg e la fine della “censura” sui social: i “fact checkers” da tastiera non la prendono bene…
Sono molteplici le interpretazioni sulla mossa di Mark Zuckerberg che ieri ha tolto il “bavaglio” a Meta: niente più fact checking su Facebook e Instagram, un’operazione di trasparenza e di libera circolazione del pensiero che gli opinionisti vicini alla sinistra italiana prendono come un attacco alla democrazia. David Puente, vice direttore di Open e autoletto fact checker non è riuscito a farsene una ragione, ritenendo che nella scelta di Zuckerberg “manchi un codice etico”, come ha scritto in uno dei suoi post su Facebook. Puntuale anche la replica disperata della storica Michela Ponzani al programma Otto e Mezzo, che ha definito “pessima” la scelta compiuta dal businessman americano. Durante lo stesso programma a gioire con onestà intellettuale è stato invece Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, che alla notizia delle nuove policy del Meta ha spiegato il suo punto di vista con molta chiarezza: “Zuckerberg ha annunciato non ci saranno più i fact checker su Meta? Meno male, è un’ottima notizia”, gelando così lo studio di Lilli Gruber. Anche Lucio Caracciolo, giornalista e geopolitologo italiano, sostiene che “il fact-checking lo fa chi legge”.
Zuckerberg toglie il bavaglio al Meta e i fact checker perdono la bussola
Puente non ci sta e imbastisce perfino un complotto in un suo post su Facebook dedicato al fact checking: “Non sorprende che a gioire siano coloro che, in passato, hanno diffuso contenuti fuorvianti e desiderano continuare a farlo senza essere contestati”. Poi aggiunge che “il vero obiettivo del fact-checking non è di censurare ma fornire agli utenti un’informazione completa e corretta, senza intenti politici e in totale indipendenza”, cercando di salvare inutilmente la sua pratica dalle libere decisioni di Zuckerberg. Anche Michela Ponzani rilancia: “C’è una bella differenza tra chi pubblica un articolo sul giornale e chi scrive la qualunque sui social”, dimenticando che sui social network è consentito a tutti gli utenti di esprimere la propria posizione sugli argomenti. Come ha precisato il direttore della rivista Limes , Lucio Caracciolo durante la medesima trasmissione “il fact checking lo fa chi legge, soprattutto il proprietario della piattaforma non può essere anche l’arbitro: siamo proprio fuori da qualsiasi logica secondo me”.
Travaglio sul fact-checking: “Non riconosco a nessuno l’autorità di fare il ministro della Verità”
“È bellissima l’idea di fare i fact checking, ma il problema è che bisogna investire qualcuno del compito di impancarsi a ministro della Verità, orwellianamente parlando. E io non riconosco a nessuno l’autorità di fare il ministro della Verità”, aggiunge Marco Travaglio sulla questione della verifica sulle notizie: “I social sono un luogo dove ognuno mette quello che vuole, esattamente come nelle edicole ognuno espone il giornale che vuole, poi i cittadini comprano”. Il giornalista ha poi ribadito “l’alternativa è il ministero della Verità che ha prodotto dei danni devastanti”.
L'articolo Zuckerberg e la fine della “censura” sui social: i “fact checkers” da tastiera non la prendono bene… sembra essere il primo su Secolo d'Italia.