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Il presidente dei giornalisti: “Correggere il bavaglio”. Ma Meloni: “Nessuna limitazione alla stampa. E io ho risposto a 350 domande”

Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti chiede di correggere il bavaglio introdotto dall’ex ministra Marta Cartabia, quello che ha danneggiato l’informazione giudiziaria. Ma la presidente del consiglio rivendica l’altro bavaglio, quello approvato dalla sua maggioranza e che vieta la pubblicazione letterale delle ordinanze di custodia cautelare. Poi si è difesa dall’accusa di limitare la libertà di stampa, sostenendo di aver risposto a 350 domande nel 2024: “Più di una al giorno”. Le norme che hanno colpito l’informazione hanno trovato spazio nella parte inziale della conferenza stampa annuale di Giorgia Meloni.

Nell’aula dei gruppi parlamentari, la presidente del consiglio ha risposto alle domande di 40 cronisti. Tra i presenti anche Carlo Nordio, il ministro della Giustizia, seduto in prima fila. L’incontro è stato aperto dal presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, che ha incalzato la premier: “Per il quarto anno consecutivo torniamo a lanciare l’allarme su una serie di provvedimenti legislativi che restringono in maniera preoccupante la libera informazione in materia di cronaca giudiziaria e cronaca nera. Tutti conveniamo sulla necessità di trovare un bilanciamento tra due diritti costituzionali: il rispetto della persona e il diritto a essere correttamente e compiutamente informati. Oggi, in Italia, il rispetto della privacy sta però oscurando il diritto dei cittadini a conoscere quanto accade”, ha detto Bartoli, riferendosi chiaramente alla norma introdotta dal governo di Mario Draghi . Con la scusa della presunzione d’innocenza si è praticamente vietato a pm e investigatori di parlare coi giornalisti: lo può fare solo il procuratore capo e solo con comunicati ufficiali. Il risultato? “Se una persona viene accoltellata per strada e non se ne dà notizia, gli abitanti di quel quartiere a buon diritto possono chiedersi quali altre notizie simili, o più gravi, vengono nascoste. E, a buon diritto, possono chiedersi cosa fanno le forze di polizia per contrastare la criminalità”, ha detto Bartoli, chiedendo al Parlamento di “correggere una norma disastrosa. Oggi ogni Procuratore decide in maniera arbitraria se dare o non dare una notizia. In ogni circondario vale una regola diversa, anche se siamo cittadini della stessa Repubblica”.

Poi il presidente dell’Ordine dei Giornalisti ha anche criticato la legge, approvata dal governo Meloni, che ha vietato la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. “Se una persona viene arrestata e non è possibile sapere quali accuse le vengono mosse e quali prove sono state acquisite, non si genera un sentimento di profonda inquietudine? Come possiamo essere rassicurati che non ci sia un esercizio arbitrario e persecutorio della giustizia se non è possibile conoscere per quali motivi un cittadino viene privato della propria libertà? Non sono esempi astratti: ho citato due casi concreti e molti altri ne potrei aggiungere. Mi appello alle istituzioni, ma anche a chi ci ascolta: difendendo il giornalismo non si protegge una corporazione, ma la democrazia, il nostro diritto ad essere cittadini informati e consapevoli”, ha detto Bartoli, che poi ha chiesto anche “di ripensare totalmente la riforma della diffamazione in discussione al Senato. L’Italia, del resto, è da anni sotto osservazione delle istituzioni europee per il numero record di azioni giudiziarie intimidatorie, sia penali che civili, contro i giornalisti”.

Su questi temi, Meloni ha replicato, rivendicando il divieto di pubblicazione delle ordinanze. “In attuazione della direttiva europea del 2016 che riguarda il pieno rispetto della presunzione di innocenza, il Parlamento ha delegato il Governo ad approvare un decreto legislativo secondo cui non può essere pubblicata per intero o per estratto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. È consentito al giornalista di avere l’ordinanza, si chiede al giornalista di una fare sintesi. Si può continuare a dare notizia dei fatti di cronaca rilevanti, si chiede di non fare copia e incolla dell’ordinanza perché sono contenuti dati sensibili e stralci di intercettazioni. Non c’è nessuna limitazione del diritto di informare e essere informati. E il governo non ha ritenuto di inserire pene per chi dovesse violare le prescrizioni“, ha detto la premier. Che poi ha voluto rispondere anche alle critiche relative alla sua mancata partecipazione alle conferenze stampa dopo i Consigli dei ministri. “Sento dire che io non risponderei spesso alle domande dei giornalisti. Ho fatto fare un calcolo: ho risposto nel 2024 a 350 domande, più di una al giorno”, ha sostenuto. “Ho fatto la scelta di non fare conferenze stampa al termine delle riunioni del consiglio dei ministri” per dare spazio ai ministri nelle rispettive sfere di competenza, perché “Giorgia Meloni non è sola al governo”, ha aggiunto, parlando di sè in terza pesona. Poi ha ripetuto: “Non ritengo di dovermi difendere dalla previsione di rappresentare un limite o un problema per la libertà di stampa o per la democrazia”. In apertura della conferenza stampa, Bartoli ha voluto esprimere “gioia e sollievo” per il rientro in Italia di Cecilia Sala, ha citato Pippo Fava e Beppe Alfano, cronisti assassinati da Cosa nostra e poi ha dettato un auspicio: “Colgo anche l’occasione per unirmi all’appello internazionale affinchè il presidente Biden possa concedere la grazia a Julian Assange, un uomo che ha sacrificato la propria vita in nome della libertà di informazione”. Su questo passaggio, però, Meloni non è intervenuta.

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