«La fantasia rompe gli schemi», il fumettista Baronciani in mostra a Pavia
Alessandro Baronciani ha avuto lettori che aspettavano i suoi fumetti nella cassetta delle lettere, pubblicato un libro tutto blu e storie in scatola che oggi sono pezzi da collezione. Ha contribuito a far innamorare del graphic novel i ventenni del Duemila con Quando tutto diventò blu e Le ragazze nello studio di Munari e l’anno scorso la casa editrice Bao ha pubblicato la nuova edizione di Una storia a fumetti.
Domenica 7 dicembre alle 19 sarà al Sottovento di Pavia per la sua mostra 70x50x20, venti poster: «Sono immagini che pubblico su Instagram - racconta Baronciani -. Immagini dove il tempo romantico penso si sia fermato, le guardi online e al massimo metti un like. Questa è l’unica occasione di vederle dal vivo e poterle portare a casa. Insieme alle serigrafie, e a libri che dedicherò e si troveranno alla mostra: una bella occasione per vedersi di persona, bere un bicchiere di vino e per parlare insieme. È ora di smetterla di vedersi solo sui social e mandarsi messaggi».
Pavia, Pesaro: la provincia influenza la creatività?
«A febbraio sono venuto alla Certosa di Pavia, è bellissima. In ogni provincia c’è almeno una cosa magnifica, che magari a quelli del posto non dice nulla. In ogni città ci sono posti, panorami segreti, “non luoghi” capaci di ispirare: sale d’aspetto, angoli di strada dove una pozzanghera gigantesca diventa uno specchio del palazzo di fronte, una porta ad un’altra dimensione fantastica. La meraviglia è ovunque, bisogna trovarla e vederla».
Come sta il fumetto in Italia?
«Intorno al Duemila la graphic novel ha avuto un impatto enorme. La nostra generazione, cresciuta con i fumetti, quando è diventata grande ha continuato a cercarli chiedendo alle storie di diventare “grandi” insieme a loro. I fumetti parlavano del primo lavoro, della fine di una relazione, di andare a studiare in un’altra città. Oggi questo fenomeno è diventato un mercato enorme, escono cose in continuazione. E se produci in continuazione, le storie iniziano a indebolirsi. È difficile orientarsi, nessuno ti consiglia. Prendiamo i manga, oggi escono 10 nuove testate ogni mese e se sei adolescente e hai 20 euro alla settimana ne compri 2, una volta 3. Se non ti piace smolli e smetti di seguirle. È cambiata o forse è diventata standard la percezione. A inizio Duemila c’erano libri che sfidavano gli stereotipi, penso a Ghost World, Piera degli spiriti o anche Watchmen. Oggi se una persona per strada ti vede disegnare al bar ti chiede se fai “zerocalcare” come quando ero piccolo mi chiedevano: «Fai Topolino?». Zerocalcare ha coperto tutto. Eppure c’è tanto altro, Toffolo, Maicol & Mirco, Gipi, Fior, Ghermandi e per citare qualche giovane Albertini, Spugna, Macaione. È lo stesso fenomeno per cui quando parliamo di fantascienza pensi a Star Wars, se parlo di maghi pensi a Harry Potter. Come se Star Wars fosse diventato un “genere” e il “fantasy” fosse solo il Signore degli Anelli».
Cosa diresti a una ragazza o un ragazzo che vuole fare il tuo lavoro?
«Che non basta solo disegnare. E che gli elfi non hanno solo le orecchie lunghe, che la fantasia non ha limiti: più capiamo che riusciamo a fare quello che vogliamo, più riusciamo a raccontare storie che non ha raccontato nessuno».