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Riccardo Lorello verso Milano-Cortina: “A 60 km/h sul ghiaccio, su una lama di pochi millimetri: ecco lo speed skating. Che rabbia non avere piste al coperto”

La qualificazione olimpica è un risultato che solo pochissimi atleti riescono a raggiungere. E nel pattinaggio di velocità sul ghiaccio la competizione è davvero serrata. Un percorso fatto di gruppi A e B, tempi limite, slot contingentati e sfide che si giocano non solo contro il resto del mondo, ma anche all’interno della propria Nazionale. Riccardo Lorello, classe 2002, lo racconta con orgoglio e ambizione a ilfattoquotidiano.it dopo aver staccato il pass per Milano-Cortina 2026 nei 5.000 metri: “Raggiungere le Olimpiadi è veramente arduo nel nostro sport, ma io spero di correre anche i 10.000 metri”. Il suo nome oggi è tra i 20 ammessi ai Giochi. Quando realizza di avercela fatta, il pensiero va oltre la pista: “Tanto appagamento, ma anche un sospiro di sollievo per me e la mia famiglia”. Una storia che parte dalle rotelle, dagli allenamenti a Bellusco e da una famiglia che ha creduto in un “all in” sportivo e di vita.

Il suo è un percorso particolare: ha sempre corso sui pattini a rotelle e poi, durante il lockdown dovuto al Covid, è passato alle lame su ghiaccio. Come mai?
Non è una prassi, siamo un po’ delle voci fuori dal coro. Anche Davide Ghiotto, che detiene il record del mondo dei 10.000 metri, arriva dalle rotelle. Io ho fatto questo passaggio grazie a mio papà, che era il mio allenatore: quando gliel’ho proposto mi ha detto di cogliere l’occasione. Era il momento perfetto, con la didattica a distanza per il Covid. In Trentino ci si poteva allenare e con un compagno di squadra abbiamo preso un appartamento per imparare a pattinare su ghiaccio. La prima stagione è stata praticamente a vuoto, senza gare. La seconda ho iniziato ad andare bene, ho fatto una Coppa del Mondo Junior e l’anno dopo sono passato Senior. Poi il ct Maurizio Marchetto mi ha chiamato in Nazionale. Sul ghiaccio, inoltre, ci sono i corpi militari: se sei bravo puoi trasformare la passione in un lavoro, cosa che sulle rotelle non succede.

Ha dichiarato di voler disputare più distanze, ma qual è quella che sente più “sua”?
Direi i 5.000 metri, anche se vado molto forte nei 10.000. È una gara particolare: durante l’anno la disputiamo una sola volta ai trials nazionali, per decidere chi va in Coppa del Mondo. Non c’è nemmeno una premiazione, serve solo a stilare una classifica. Poi i 10.000 metri si fanno una volta in Coppa del Mondo e al Mondiale o alle Olimpiadi. Spero di poterli correre anche a Milano-Cortina, ma oggi i 5.000 restano la mia specialità.

A proposito dei 5.000 metri, nel 2023 ha battuto un record storico alle Universiadi di Lake Placid che resisteva dal 1980. Se lo aspettava?
Non era il mio pensiero principale, ma è stato divertente. Il record era di Eric Heiden, una leggenda, lo Usain Bolt del pattinaggio. Va detto che allora c’erano ghiacci e lame diverse, quindi in parte era prevedibile. Ma è stato bello e un po’ sorprendente vedere che, pur essendo in America, erano tutti contenti di aver visto cadere il record di un loro connazionale.

Durante la prima tappa di Coppa del Mondo Junior ha invece corso su quella che sarà la pista olimpica di Rho. Come l’ha trovata?
A livello organizzativo è stata straordinario: tutto funzionava benissimo, meglio che in tante Coppe del Mondo Senior. Anche la pista mi ha sorpreso, migliorava giorno dopo giorno. Non super veloce, ma competitiva. E poi per me era vicino a casa: un sogno. Forse mancava qualcosa dal punto di vista scenografico, ma penso che per l’Olimpiade si attrezzeranno.

Sapere che l’impianto verrà smantellato al termine dei Giochi lascia un po’ di amarezza?
Tantissima. L’Italia è una Nazionale fortissima, con medaglie olimpiche e mondiali, ma non ha una pista al coperto. Abbiamo solo due impianti e uno è in ristrutturazione. Allenarsi all’aperto d’inverno, tra neve e pioggia, non è il massimo. È deprimente pensare che non resterà nulla dopo i Giochi: più che amarezza, c’è rabbia.

Il fortissimo team italiano di speed skating include veterani e giovani talenti. Chi tra i suoi compagni l’ha influenzata di più e per quale motivo?
Sicuramente una menzione d’onore va ad Andrea Giovannini che è uno dei veterani della squadra. Da quando, ormai quattro anni fa, sono entrato nel team abbiamo veramente creato un bellissimo rapporto tra di noi. Mi ha insegnato non tanto, tantissimo. Non solo ad avere il giusto approccio mentale alle gare, ma anche il semplice fatto di poterlo osservare in allenamento mi ha aiutato a crescere sotto molti punti di vista. Abbiamo un grande rapporto.

Quali sono le sue ambizioni e quelle del gruppo di atleti azzurri di speed skating alle Olimpiadi ormai alle porte?
Che domanda difficile (ride, ndr). Non vorrei entrare nello specifico delle medaglie. Saprei dirtelo, ma non voglio farlo. Sono scaramantico. Diciamo che abbiamo tutte le carte in regola per poter essere grandi protagonisti nella maggior parte delle distanze.

Una riflessione personale. Perché, secondo lei, un giovane italiano dovrebbe praticare lo speed skating invece di sport più diffusi come il calcio o il tennis? Cosa rende speciale questa disciplina?
La velocità e l’adrenalina. Andare a 60 km/h sul ghiaccio, dove l’attrito è quasi zero, sorretto da una lama di pochi millimetri è qualcosa di unico. In curva senti una forza centrifuga che fa paura anche a noi professionisti. Io sono un fan degli sport individuali, ma un’altra cosa bella di questa disciplina è la coesione: per essere forte devi avere una gran squadra dietro. Nel complesso, penso che devi essere un po’ spericolato. Ma è proprio questo a renderlo uno sport pazzesco.

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