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Aurora Livoli, i 50 giorni lontano da casa: dalla scomparsa alla telefonata ai genitori. Caccia all’uomo alto e magro che era con lei

Aurora Livoli aveva 19 anni e, per cinque giorni, non è stata che un corpo senza nome. Una ragazza trovata morta in un cortile di periferia, a Milano, di cui nessuno sapeva dire nulla. Nessun documento addosso, nessun telefono, nessun segno che potesse raccontare chi fosse o da dove venisse. Per giorni è rimasta invisibile anche nella morte. Dopo la diffusione da parte degli investigatori dell’Arma, finalmente è arrivata l’identificazione.

Aurora era nata a Roma e viveva a Monte San Biagio, in provincia di Latina. Si era diplomata da poco all’Itis Pacinotti, nella sede di Fondi. Frequentava la stessa scuola di Paolo Mendico, il ragazzo di 14 anni che a settembre si è tolto la vita dopo episodi di bullismo. Il 4 novembre si era allontanata da casa. La famiglia aveva denunciato la scomparsa e aveva continuato a cercarla, aggrappandosi a ogni possibile traccia. L’ultimo contatto risale alla mattina del 26 novembre: una telefonata ai genitori adottivi. Aurora aveva detto di stare bene, di non essere in pericolo, ma aveva anche chiarito che non aveva intenzione di tornare. Non aveva spiegato dove si trovasse. Dopo quella chiamata, il silenzio. Cinquanta giorni lontana da casa e un silenzio silenzio durato più di un mese.

Fino alla mattina del 29 dicembre quando il custode di un condominio al civico 74 di via Paruta ha trovato il corpo di una giovane donna steso a pancia in giù, in un vialetto non lontano da un’aiuola. Era semisvestita, con segni sul collo. Nessuno dei residenti l’aveva mai vista prima. Per il quartiere, quella ragazza non era nessuno. I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Milano, guidati dal colonnello Antonio Coppola e coordinati dal pm Antonio Pansa, hanno iniziato a cercare risposte partendo da ciò che c’era: le immagini delle telecamere di videosorveglianza. È lì che Aurora ricompare viva, per l’ultima volta.

Un fotogramma la ritrae in via Padova, non lontano dal luogo in cui verrà trovata morta. Cammina da sola, o almeno così sembra a prima vista. Ha i capelli scuri che le scendono oltre le spalle, lo sguardo rivolto verso il basso, le mani infilate nelle tasche di un giubbotto scuro. Indossa una maglia scura, pantaloni della tuta, scarpe da ginnastica. L’andatura è tranquilla. Non c’è fretta, non c’è paura visibile. Appena dietro di lei, nella stessa inquadratura, c’è un uomo: alto, magro, con addosso un pile bianco. La telecamera lo riprende di nuovo circa un’ora dopo, mentre percorre la stessa strada in senso opposto, da solo. In quelle immagini non c’è nulla che lasci pensare a un inseguimento. La sensazione, per gli investigatori, è un’altra: che Aurora e quell’uomo si conoscessero, che stessero andando nello stesso posto.

I due entrano insieme nel portone del condominio di via Paruta. Un ingresso che resta spesso aperto, come se fosse un passaggio noto, abituale. È lì che Aurora sparisce. Poche ore dopo, il suo corpo verrà trovato nello stesso stabile. Quando i carabinieri hanno cercato di identificarla, ogni tentativo è fallito. Nessun riscontro nelle banche dati, nessun match dalle impronte digitali negli archivi Afis. Nessuna segnalazione nei centri di accoglienza o nelle comunità per persone in difficoltà di Milano e dell’hinterland. La svolta è arrivata solo con la decisione della Procura di diffondere l’immagine della telecamera di sicurezza: l’unica in cui il volto della ragazza si vede chiaramente, illuminato appena nel buio della notte.

Ora restano le domande. L’autopsia, disposta per mercoledì 31 dicembre, dovrà stabilire le cause della morte, chiarire se i lividi sul collo siano collegati al decesso o precedenti, e se la ragazza abbia subito violenze prima di morire. Gli investigatori stanno lavorando per identificare l’uomo che era con lei quella notte e che, con ogni probabilità, ha trascorso con Aurora le sue ultime ore.

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