World News in Italian

La variabile impazzita dell'Iran



Nel panorama globale, Teheran sembra aver scelto di esasperare le tensioni geopolitiche a livelli mai visti prima.

Il 2023 si chiude con un profluvio di riflessioni pubbliche sulla pax americana. Il più delle volte si tratta di considerazioni amare sulle divisioni interne all’Occidente alla vigilia di un anno, il 2024, in cui sia Europa sia gli Stati Uniti vanno al voto. È soprattutto il conflitto tra Israele e Hamas a dividere molte delle componenti che l’invasione russa dell’Ucraina del 2022 aveva saldato. Spesso non si tratta solo di spaccature a livello di società civile, ma di divergenze che investono agenzie governative, in ogni articolazione, da Washington fino a Stoccolma.

Per la Russia l’occasione è ghiotta per soffiare sul fuoco delle contraddizioni occidentali, e puntare il dito ancora una volta contro Washington. A farne le spese è lo storico rapporto di ferro tra lo Stato di Israele e Mosca, sodalizio che Vladimir Putin considera ormai sacrificabile sull’altare dell’avventura ucraina, in cui ha finora perso 300 mila soldati e gran parte della flotta del mar Nero. Il tutto mentre l’economia russa è più povera, la Nato ha acquisito due nuovi membri e la Germania si è scossa da un torpore pluridecennale, avviando un poderoso riarmo. Va scongiurato il rischio di «strabismo» geopolitico. È vero, infatti, che l’Occidente alterna compattezza e baruffe, e che la stagione elettorale su entrambe le sponde dell’Atlantico si accompagna a crescenti tensioni e colpi bassi. Sarebbe tuttavia un errore immaginare che il fronte opposto, cioè il blocco autoritario eurasiatico composto da Cina, Russia e Iran, se la passi meglio. Non è così: da quelle parti gli interessi non sono affatto allineati. Il primo aspetto da cui partire è lo stato di salute della Cina, capofila del blocco eurasiatico. Ebbene: la crescita del Dragone, pur elevata, non si è affatto riassestata sui livelli pre-Covid e i tradizionali indicatori della produzione industriale, degli stock di magazzino e del mercato immobiliare sono osservati dagli analisti che studiano la sostenibilità del modello cinese e temono shock socio-economici.

L’iperattivismo delle proxy iraniane (nell’ordine: i «mandatari» Hamas, Hezbollah e gli Houthi dello Yemen) va collocato in questo contesto di fragilità di Pechino, e porta al pettine grossi nodi. Cina e Iran, tanto per iniziare, non si coordinano tra loro ma si pestano i piedi a vicenda. Strozzando l’accesso al Mar Rosso, gli Houti mettono in crisi il gigante asiatico, che conta proprio sul commercio estero per sostenere la propria crescita ed è molto più avanti sulla connettività marittimo portuale di quanto non sia sulle «Vie della Seta» terrestri. Che senso ha fare scorpacciate di terminal portuali nel Mediterraneo e financo egemonizzare il Pireo ad Atene se poi nello stesso Mediterraneo le navi non entrano neanche per paura di essere attaccate dai vassalli iraniani? C’è dell’altro: negli ultimi tempi la Cina ha investito sui rapporti con la casa regnante saudita, e le proxy iraniane interferiscono pesantemente con tale schema. A questo punto viene inevitabile chiedersi se e fino a che punto l’Iran diriga le proprie proxy, o ne abbia invece perso il controllo. Nell’uno come nell’altro caso, si configura un delicato problema. Se infatti i vertici iraniani hanno perso il controllo delle proprie proxy, significa che la verticale di potere iraniana si sta sfilacciando e che ci sono convulsioni interne. Se invece i vertici iraniani hanno saldamente in mano le proprie proxy, allora se ne desume che Teheran abbia scelto di esasperare le tensioni geopolitiche a livelli mai visti prima.

Né l’invasione russa dell’Ucraina, né il conflitto Israele-Hamas rappresentano minacce esistenziali per la pax americana e consentono a Washington di «dosare» il proprio impegno. La paralisi del commercio marittimo investe invece il controllo dei «colli di bottiglia» marittimi che lo stratega americano Alfred Thayer Mahan considerava uno dei principali tasselli dell’impero globale a stelle e strisce, costringendo gli Stati Uniti ad alzare il tiro. L’impressione complessiva è quella di una sostanziale imprevedibilità strategica iraniana, che spiazza non solo i propri nemici ma anche i propri alleati più stretti. Mosca, per ora, gode, mentre Pechino paga un prezzo esorbitante e pensa a come rimettere il proverbiale dentifricio nel tubetto.

* L'autore, Francesco Galietti, è un esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

Читайте на 123ru.net