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Budapest 1956, “I Racconti della Rivoluzione” di Giorgio Cirillo. Giovedì presentazione al Cis

Budapest '56

La Rivoluzione Ungherese dell’ottobre del 1956 sconvolse l’opinione pubblica di tutto il mondo. L’invasione dell’Urss comunista con l’intervento dell’Armata Rossa fu caratterizzato dall’impiego di decine e decine di carri armati e seguito da una feroce e sanguinosa repressione. Il dibattito e l’aspro confronto politico-ideologico che ne seguì infiammarono a lungo il già acceso dibattito parlamentare […]

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Budapest '56

La Rivoluzione Ungherese dell’ottobre del 1956 sconvolse l’opinione pubblica di tutto il mondo. L’invasione dell’Urss comunista con l’intervento dell’Armata Rossa fu caratterizzato dall’impiego di decine e decine di carri armati e seguito da una feroce e sanguinosa repressione. Il dibattito e l’aspro confronto politico-ideologico che ne seguì infiammarono a lungo il già acceso dibattito parlamentare e civile dell’Italia di quegli anni. Sulla Rivoluzione ungherese c’è una saggistica sterminata. Ma per chi volesse un approccio diverso, non accademico, più intimo, in presa diretta, fondato sulle emozioni e lo sgomento delle persone che quel 4 novembre  appresero via radio il tragico annuncio dell’invasione dalla viva voce di Imre Nagy, Primo Ministro del governo della repubblica d’Ungheria, non può perdere l’occasione di leggere un altro libro. Lo ha scritto il giornalista e saggista Giorgio Cirillo,  autore de “I racconti della Rivoluzione”. Il libro si può acquistare su Amazon, oppure venendo alla presentazione del volume al Cis di viale Etruria (Piazza Tuscolo) giovedì il 18 gennaio alle ore 18. Nella Sala convegni il padrone di casa, Domenico Gramazio, insieme a Giuseppe Sanzotta (direttore de Il Borghese), Filippo Pepe e Luigi Mancini discuteranno del libro di Giorgio Cirillo.

La rivoluzione d’Ungheria: incontro al Cis di Gramazio giovedì ore 18

L’autore è un giornalista che, tra le altre cose, ha lavorato al Secolo d’Italia negli Anni ’70.  In qualità di studioso della rivoluzione ungherese ha conseguito il Premio Caravella Tricolore due anni fa. Racconta così l’idea del libro, la volontà di “non appendere la penna al chiodo” una volta raggiunta l’età pensionabile, iniziando un percorso narrativo che inizia proprio da lì: da quell’autunno di sangue del ’56, con una raccolta dal titolo di “I racconti della Rivoluzione”. I fatti d’Ungheria hanno inciso profondamente nella sua formazione come dice lui stesso: “Sono  abbastanza in là con gli anni da conservarne il ricordo, per lo meno per quel che riguarda la forte emozione che essa suscitò al suo divampare e alla sua feroce repressione. Un evento che ha poi costituito uno dei leitmotiv non solo della mia carriera professionale, ma anche delle mie scelte politiche, culturali e morali”.

Giorgio Cirillo: “Quell’annuncio alla radio cambiò la mia vita”

Nel 1956 la televisione per la quasi totalità delle famiglie era solo un’ipotesi futuribile, un sogno da realizzare prima o poi. Nei salotti o nelle cucine di ogni casa era la radio il punto di riferimento intorno al quale le famiglie si riunivano. Quell’autunno del 1956 da Budapest arrivavano notizie drammatiche di una Rivoluzione dalla repressione sanguinosa. Il libro di Giorgio Cirillo prende le mosse proprio dalle drammatiche parole ascoltate alla radio il 4 novembre da Budapest, tradotte in italiani:

Due annunci di Imre Nagy

“Qui è Imre Nagy, Primo Ministro del governo della repubblica d’Ungheria, che vi parla. Questa mattina all’alba le truppe sovietiche hanno sferrato l’attacco contro la nostra capitale, con l’evidente intento di rovesciare il legittimo governo democratico ungherese! Le nostre truppe stanno combattendo! Il governo è al suo posto! Lo comunico al popolo d’Ungheria e all’opinione pubblica del mondo!”. Il racconto di Cirillo si dipana raccontando l’angoscia trasmessa all’opinione pubblica da un successivo messaggio poche ore dopo: “Qui l’Associazione degli Scrittori ungheresi! Ci appelliamo agli scrittori, agli intellettuali, alle accademie scientifiche e culturali di tutto il mondo! …Il nostro tempo è limitato. Voi tutti conoscete i fatti: inutile dilungarci su di essi. Aiutate l’Ungheria! Aiutate il popolo ungherese! Aiutate gli scrittori, gli scienziati, i lavoratori, i contadini, gli intellettuali ungheresi!…Aiutateci, aiutateci, aiutateci…”. La tragedia del comunismo si faceva strada in tutto il suo furore.

Un libro contro il Pensiero unico

Le notizie che seguirono nei giorni successivi parlarono di stragi, di repressione, di esecuzioni sommarie, di deportazioni. “Con il mio libro ho voluto rievocare gli umori, le atmosfere, i più intimi sentimenti degli anonimi protagonisti di quell’effimera epopea che qualcuno allora, con indovinata e puntuale metafora, ha voluto definire “cuori contro cannoni”, dice l’autore. Che non nasconde la sua amarezza: “Il mondo ascoltò, ma non rispose. Il mondo si commosse, ma non agì”. Cosa vuole dirci? Nella seconda parte del libro è spiegato il senso di questa constatazione: “L’Italia, almeno in gran parte, deprecò e condannò l’invasione e il massacro; così come biasimò e deplorò chi, nel nostro Paese, di quel crimine contro l’umanità si era reso complice morale, approvandolo e plaudendo ad esso. Ma nel giro di un paio di mesi la situazione politica tornò alla “normalità”: una normalità fatta  di dimenticanze e censure”. Ed è questo il fulcro del libro che dal ’56 arriva dritto dritto all’oggi. Dimenticanze, censure, distorsioni e manipolazioni uso ideologico della storia fanno ancora parte del Pensiero Unico e di un mainstrem che indirizza il dibattito pubblico.

Mistificazione e oblio

Il libro intende parlare di “un eredità negativa e deleteria: mi riferisco alla cultura dell’inganno e della mistificazione prima, della rimozione e dell’oblio poi, che risultò vincente nei decenni successivi al 1956. E che, sempre nonostante tutto, tanti, troppi proseliti continua ad annoverare- sottolinea l’autore. Se “I Racconti della Rivoluzione” contribuirà in qualche modo, e sia pur in minima parte, a segnare un’inversione di tendenza culturale, politica e ideologica, saprò di aver portato a termine un buon lavoro”. Noi glielo auguriamo e ce lo auguriamo.

 

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