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Ecco perché il Veneto perde i suoi migliori laureati: «Vanno all’estero attratti da carriera e innovazione»

Cervelli – ancora – in fuga. Ma perché? La risposta alla domanda che si sono poste le imprese venete arriva dall’indagine dall’ufficio di Regional research della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo sui laureati che risiedono all’estero. L’obiettivo è capire quali siano le motivazioni che li hanno spinti a emigrare facendo luce sui fattori che potrebbero incidere sulla loro decisione di rientrare in Italia.

Dietro a quello che talvolta può sembrare ormai un logoro luogo comune – quello dei cervelli in fuga, appunto –, c’è tutta la contraddizione di un ateneo che forma ad alti livelli, al punto da spianare il mercato estero ai suoi laureati, e di un tessuto produttivo che non riesce a nutrirsi delle risorse “coltivate” sul territorio.

Soprattutto nelle discipline Stem, acronimo per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Eppure tra il 2012 e il 2022 il numero di questi laureati a Padova è cresciuto del 35%, molto al di sopra dell’aumento registrato a livello italiano. Sotto i riflettori, spiega Anna Maria Moressa che ha curato l’indagine, «la necessità che le imprese migliorino la comunicazione sulle loro attività, superando quella sorta di discrasia che c’è tra i giovani e le imprese e in cui l’Università deve giocare in modo più attivo il ruolo di collegamento».

LO SCENARIO NAZIONALE

L’Italia parte già in affanno con pochi laureati: fanalino di coda nell’Unione Europea, con appena il 29,2% dei giovani tra i 25 e i 34 anni in possesso di un’istruzione terziaria (meno della metà dell’Irlanda in vetta con il 63,3%). I 7 punti percentuali guadagnati negli ultimi 10 anni, sono ancora insufficienti a colmare il divario con la media europea (44.7%).

A fronte di “risorse limitate”, ecco quindi che il tema della migrazione dei laureati italiani che trovano occupazione all’estero riveste un’importanza strategica per il Paese ai fini delle potenzialità di crescita e innovazione del tessuto economico, in un contesto in cui, rispetto ai competitor europei, l’Italia si pone anche con una minore capacità di attirare stranieri per completare gli studi.

Un fenomeno che è andato aumentando negli ultimi dieci anni: quelli espatriati tra i 25 e i 39 anni sono cresciuti del 281% dal 2011 al 2021 (da 4.720 a 17.997). Anche in Veneto si osserva una dinamica simile (più 315%) con 427 usciti nel 2011 e 1.773 nel 2021

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Con questi numeri, il Veneto è la regione con il saldo negativo più alto dopo la Lombardia.

Parallelamente, gli atenei italiani risultano in difficoltà nell’attrarre studenti internazionali: tra il 2013 e il 2020 l’Italia è scesa di ben 10 posizioni nella graduatoria Ue per incidenza di studenti internazionali nell’istruzione terziaria, passando dal 4,4 al 2,9%. Ma tornando ai moderni – e altamente qualificati – migranti veneti, quello che emerge è che, oggi come ieri, i giovani alla ricerca del lavoro, seppur disposti a spostarsi anche all’estero, soprattutto in Europa, preferirebbero trovare occupazione vicino a casa – il 65,3% nella provincia di residenza – o all’interno della loro regione, a patto, tuttavia, che l’ingresso nel mondo del lavoro garantisca loro, in ordine di priorità: l’acquisizione di professionalità e carriera, prima che di guadagno.

L’IDENTIKIT

Dall’indagine emerge quindi un chiaro identikit: il Veneto perde soprattutto i suoi laureati brillanti, che escono dall’università con votazioni elevate (più di 106 su 110) che avevano già fatto altre esperienze all’estero, soprattutto master ed Erasmus (il 69% dei lavoratori) e che trovano un impiego soprattutto utilizzando portali, piattaforme online o social, a partire da Linkedin, in assoluto il più usato.

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Non solo: una volta all’estero – soprattutto gli Stem – trovano occupazioni stabili (il 70,9% a tempo indeterminato) e rivestono ruoli altamente qualificati in attività di ricerca e sviluppo (il 55,6%).

Ma cosa spinge i giovani talenti a emigrare? Le risposte non lasciano dubbi: laureati e laureandi che studiano all’estero indicano opportunità di carriera, valorizzazione del merito, profilo innovativo e tecnologico più elevato nelle aziende estere.

Di rilievo anche l’aspetto salariale che è importante sia come fattore di spinta quando si decide di emigrare che come freno in fase di possibile rientro; interessante, inoltre, la considerazione con cui è tenuto l’equilibrio offerto tra lavoro e vita privata anche grazie a orario flessibile e smart working.

EFFETTO FABBRICA

A fronte di un mondo che corre veloce lanciato sulla strada dell’innovazione, secondo le imprese i giovani sono poco attratti dal lavoro in fabbrica oltre che poco preparati rispetto alle competenze richieste; ritengono che le imprese locali non offrano prospettive professionali e che vengano considerate poco innovative. Solo una parte delle imprese, tuttavia adotta strategie per attrarre i giovani e trattenerli.

A spingere alla riflessione e alla necessità di trovare una soluzione, sono le necessità: secondo l’indagine, infatti, a fronte della difficoltà di reperimento di quasi 32 mila laureati nei prossimi anni nelle aziende venete, quasi 12 mila saranno Stem.

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Dalla ricerca nascono quindi molti stimoli per le imprese del territorio: «I giovani conoscono ancora troppo poco le straordinarie opportunità offerte dalle tante eccellenze produttive presenti sul territorio, motivo per cui è fondamentale promuovere un avvicinamento tra imprese e giovani già durante il percorso universitario, attraverso stage in azienda, con mansioni vicine e coerenti con gli studi realizzati» conclude Moressa «spesso gli studenti svolgono lavoretti nei ritagli di tempo per mantenersi che poco o nulla hanno a che fare con il loro percorso lavorativo futuro.

Le aziende dovrebbero investire di più approfittando di questi spazi, pur ridotti, per cominciare a conoscere i ragazzi e per far conoscere loro il lavoro. In questo senso servirebbe uno sforzo da parte delle imprese».

Una ricerca durata sei mesi tra lavoratori e studenti

L’indagine realizzata da Anna Maria Moressa dell’Ufficio Regional Research, Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo è stata condotta tra gennaio e giugno 2023 con l’obiettivo di analizzare le motivazioni che hanno portato i giovani a scegliere di lavorare o studiare all’estero. Il campione è composto da 139 rispondenti che risiedono all’estero di cui 72 lavorano e 67 stanno completando gli studi (l’82% in Gran Bretagna).

Nei lavoratori la classe tra 25-34 anni d’età pesa più del 50% mentre negli studenti è quella 18-24 la più r rilevante con più dell’88% delle risposte. L’85,6% ha meno di 35 anni. Prevalgono tra i lavoratori gli indirizzi di sviluppo Stem (76,4%) e una concentrazione elevata in Ingegneria (51,4%)

Il prorettore alla didattica: «Il Bo punta sugli stranieri per bilanciare le uscite»

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Il problema della migrazione è reale e a suo modo longevo e non trova l’Università impreparata. Lo sostiene il professor Marco Ferrante, prorettore alla Didattica del Bo: «Studi come quello di Intesa Sanpaolo sono molto utili perché forniscono fotografie aggiornatissime della realtà e, pertanto, contribuiscono a darci delle indicazioni. E quella che cogliamo noi è che stiamo andando nella giusta direzione».

Da tempo ormai, la governance del Bo si è posta come obiettivo l’internazionalizzazione, non solo per bilanciare il saldo negativo di studenti e laureati in uscita, ma anche per farsi trovare preparata a fronteggiare l’inverno demografico che a partire dal 2030-32 si farà sentire in tutto il suo rigore: «Il saldo negativo degli studenti verso l’estero è un dato storico ma non per questo facile da interrompere» prosegue «l’importante è bilanciarlo. Noi stiamo lavorando per essere sempre più attrattivi rispetto all’estero.

E i numeri ci rendono orgogliosi: in cinque anni abbiamo aumentato di oltre il 10% l’offerta didattica globale ma soprattutto quella in inglese; dei 203 corsi partiti quest’anno 46 sono interamente in inglese e altri 15 lo sono in parte» chiarisce. Se nel 2020 l’Italia era al 2,9% per studenti internazionali «noi come Padova eravamo già al 4,4% e ora siamo all’8,9, dati che ci avvicinano a Paesi come Francia e Finlandia» aggiunge il professor Ferrante «è un lavoro progressivo che vede tutto l’ateneo impegnato a fare sistema, non solo sul fronte delle Stem.

Il processo è partito e le aziende del territorio dovrebbero essere un po’ più ricettive, visto che se assumono i nostri ragazzi all’estero è perché li formiamo bene e sul mercato internazionale sono sempre tra i migliori. Senza contare che i nostri giovani non emigrano per esterofilia, si tratta solo di rendere la nostra realtà più attrattiva».

Ferrante invita quindi ad allargare le maglie del sistema «Paese, impresa e Università devono lavorare insieme per essere attrattivi sul mercato globale» prosegue «noi la nostra parte la stiamo facendo in condivisione con i prorettori Gerosa, Basso e Zattin.

Lavoriamo molto anche su stage e tirocini, che però sono più tipici della magistrale e in 5 anni abbiamo registrato un incremento di oltre il 23%». Sul fronte dei rapporti con le aziende, però «i contatti ci sono e sono sempre più intensi» prosegue Ferrante «ci sono indirizzi come Ingegneria informatica, in cui gli studenti non fanno nemmeno in tempo a laurearsi che trovano lavoro.

Del resto anche il fatto di avere sedi dislocate sul territorio, come il Dipartimento di Ingegneria a Vicenza ci consente di avere contatti più diretti su un tessuto molto attivo dal punto di vista dell’impresa, oltre a permetterci di fare sistema anche tra le quattro principali università del Veneto».

La strategia è tracciata ma non immutabile: «Se la direzione è quella giusta per aiutare il sistema Veneto, lo è anche perché ogni anno facciamo una revisione dei corsi di studio dopo esserci confrontati con gli stakeholder proprio per capire quello che serve» chiarisce il prorettore «anche il nostro tessuto produttivo sta cambiando per aprirsi progressivamente all’internazionalizzazione, ormai il mercato è globale e il fatto di collocarvisi con un imprinting più ampio rende le aziende più competitive».

L’obiettivo, quindi, non è solo attrarre gli studenti stranieri ma spingerli a restare dopo la laurea: «Si procede per step» conclude «prima ci si affaccia sul mercato, ci si fa conoscere in modo da aumentare i numeri e, a quel punto, diventa possibile scegliere gli studenti migliori. Il primo forte calo di iscrizioni lo vedremo dal 2030 e vogliamo farci trovare pronti. Inoltre lavoreremo per aumentare gli studenti che si iscrivono all’università. Anche questa è una delle indicazioni chiare che ci ha dato la rettrice Mapelli».

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