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Calderoli: «L’Autonomia differenziata unirà l’Italia»

Il primo via libera del Senato all'Autonomia differenziata del ministro Roberto Calderoli ha confermato la tenuta dell’asse con Fratelli d’Italia e Forza Italia, rilanciando l’idea di Stato che mette al centro dei territori le Regioni. E i numeri ripetuti dal Ministro tracciano l’orizzonte di una riforma che a suo dire non aumenterà gli squilibri nè spaccherà l’Italia. Anzi. Eventuali «distanze» saranno colmate dalle risorse dei vari Fondi.

Per i suoi detrattori c’è il rischio che la sua riforma creerebbe un Paese di serie A e uno di serie B...

«No. Non credo nè la penso così. La potenzialità di acquisire più competenze è per ogni Regione. Certo, poi c'è chi ne chiederà 2-3 materie e chi 10. Ma oggi è comunque una risposta all’Italia, che è unita sulla carta ma oggettivamente non è unitaria. Vado oltre la questione Nord-Sud. Lungo la Penisola esistono differenze date da criteri oggettivi, morfologici, geografici, climatici. Penso alla Lombardia o al Veneto in cui abitano un numero di persone maggiore dell'Austria. Poi esistono Regioni che hanno metà abitanti della provincia di Brescia o Bergamo».

Come dire che è un conto vivere nel nord-est, altro in Calabria o Sicilia?

«Guardi, nel testo è stato inserito un articolo dedicato esclusivamente alla perequazione infrastrutturale e l'abbiamo studiato con il collega ministro Raffaele Fitto, che è pugliese non lombardo nè veneto. La nostra intenzione è unificare tutte le risorse che ci sono nei vari Fondi di sviluppo e coesione a livello nazionale ed europeo. Verrà creato un unico Fondo per mettere tutti allo stesso livello di partenza».

Intanto i tempi sono stati rispettati.

«Ho portato la proposta entro la fine del 2023 perché era l’impegno preso. Si è lavorato per otto mesi in maniera importante. Il sì è arrivato su un testo cresciuto tanto».

Chiaro quanto la necessità di non imporre a colpi di maggioranza una riforma così importante...

«A dire il vero è stata votata anche da qualcuno di Italia Viva».

Appunto, anche l’ex ministro proprio all’Autonomia Mariastella Gelmini alla fine ha votato a favore.

«È testimonianza del buon lavoro fatto e della serietà che abbiamo dimostrato. Con Gelmini abbiamo interloquito molto rispetto ai suoi emendamenti che sono stati anche accolti. Lei suggerisce tutte le volte che per riempire il tutto ci vogliono le risorse. Ma io continuo a ripeterle che prima di destinare le risorse volevo sapere quali fossero i diritti civili e sociali o i Lep e ora bisogna definire i costi e i fabbisogni standard».

Come farete tornare i conti?

«Dico che non succederà nell’immediato. Con un'adeguata pianificazione i numeri sono chiari: ad esempio il fondo sviluppo per il settennato 2014-2020 di 126 miliardi. Dieci sono stati usati per il Covid, 33 utilizzati, 83 tra mancata spesa e impegno Stato o Regioni rimasti nel cassetto. Nel settennato 2020-27 ce ne sono 125 da impegnare, tra nazionali ed europei, ai quali aggiungere quelli del Pnrr. Questi sono i numeri certi con l'80% dei Fondi nazionali e il 70 di quelli europei destinati al Sud, mentre il 60% del Por (Programmi operativi regionali) al Centro- Nord. I conti dicono quindi che se sommiamo queste risorse si avranno più di 400 miliardi».

Insomma, è convinto che la sua idea di Autonomia sarà la soluzione per riequilibrare il Paese?

«Vivo un paradosso: quando sono entrato in politica volevo trovare una soluzione per la questione settentrionale. Alla fine mi è toccato affrontare quella meridionale, irrisolta da sempre. E comunque vorrei ricordare che delle 15 Regioni a statuto ordinario tutte tranne l'Abruzzo hanno chiesto l'autonomia differenziata. Fondamentale è definire i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), i diritti civili e sociali che spettano a ogni italiano in cambio delle tasse che paga, per me è fondamentale. Diritti fondamentali che senza parametri di riferimento nessun cittadino può rivendicare».

C’è chi accusa di aver barattato con FdI in uno scambio alla pari l’autonomia con il presidenzialismo...

«Direi proprio di no e lo dicono i fatti. Nel 2005 nella riforma approvata dal Parlamento e poi bocciata nel referendum c'era la devolution ma anche il premierato con tanto di sfiducia costruttiva. Quindi nessun baratto. Da leghista dopo più di 30 anni penso di avere individuato con questa riforma la soluzione dei problemi del Sud e se li risolviamo davvero ne guadagna solo il Paese. Oggi il reddito medio pro-capite di un cittadino del Mezzogiorno è del 56,2% inferiore di uno del Nord, io non posso accettarlo. Credo di aver trovato la ricetta giusta».

Adesso che tempi ci saranno?

«I tempi dipenderanno da quello che vorrà fare la Camera dei Deputati. Mettersi delle scadenze è proprio innaturale e non rispettoso del lavoro dei parlamentari».

Rispetto all’idea di Autonomia votata e chiesta in referendum da Lombardia e Veneto quanto ci si avvicina il testo votato al Senato?

«Questa è una legge che descrive il percorso che poi diverrà attuale con le intese regionali da votare a maggioranza assoluta come previsto dalla Costituzione. Abbiamo fatto un primo gradino per capire cosa si vuole andare a fare».

Che promesse si sente di fare a Attilio Fontana e Luca Zaia?

«Non devo rispondere a Zaia e Fontana. Le Regioni in Italia sono 20: 5 sono a Statuto speciale e su 15 ordinarie 14 di qualunque colore e collocazione geografica hanno fatto richiesta di autonomia. Quindi io devo rispondere a Zaia, a Fontana ma anche agli altri presidenti. Senza differenze, compreso chi invoca il referendum su una legge non ancora approvata».

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