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Sinner, metodico e credibile: vince e non si esalta, nessuno sa resistergli

Sinner, metodico e credibile: vince e non si esalta, nessuno sa resistergli

foto da Quotidiani locali

La semplicità di vivere, la normalità di vincere. Appena conquistato il primo slam della carriera, Jannik Sinner fa le cose di uno che ha finito un buon lavoro. Si siede, beve, si toglie le scarpe, si scompiglia la criniera. Nessun eccesso, nessun vezzo, nessuna concessione all’emotività.

Il ragazzo dai capelli rossi, che ha conquistato l’Italia all’improvviso, non ha la guasconeria di Alberto Tomba, l’eccedenza di Valentino Rossi, l’altera signorilità della Pellegrini e, meno che mai, la dolente cavalcata di Marco Pantani, un vinto anche da vincente.

Jannik è altoatesino ma, al contrario di Gustav Thoeni, non fatica a parlare italiano. Nato a San Candido, è cresciuto a Sesto, il comune più a est del Trentino Alto Adige, al confine con il Veneto. Per molti, nonostante sia italianissimo, è un crucco, un modo dispregiativo per segnalare rigore, disciplina, sacrificio forse eccessivi. Per altri, che ora ne esaltano le gesta, dimenticando la crociata che altri promossero contro, uno che ha la residenza a Montecarlo per ragioni fiscali. In realtà Sinner è un giovane antiitaliano. Non nel senso che non si riconosca nella patria e nella bandiera, ma semplicemente perché è tutto quel che noi, suoi improvvisati ammiratori, non siamo. Educato, prima di tutto. Misurato, in seconda battuta. Laborioso e metodico. Razionale e positivo. Freddo magari no, ma certo assai impassibile. «Beato il popolo che non ha bisogno di eroi», scriveva Bertolt Brecht. Ma senza eroi lo sport è un po’ meno sport dappertutto. Se manca l’esempio, manca l’emulazione e quindi la molla a provarci, a cercare di essere Sinner anche quando non si possiede la sua volontà di riemergere, nell’ora in cui tutto ti sembra abbandonare, a cominciare dalla forza e dalla precisione.

Non siamo ancora pronti per diventare tutti Sinner, perché la sua ascesa è stata tanto rapida da sorprenderci. Ma non siamo nemmeno pronti a dividerci sulle sue doti e i suoi mimetizzati difetti. Per ora e, forse, non ancora per molto, staremo insieme dalla sua parte perché ancora non ci ha dato la possibilità di criticarlo o, peggio, detestarlo. Piace non solo perché vince, ma per come lo fa: cercando i più forti, senza furbizie o scorciatoie, riemergendo dalla profondità degli abissi e imponendo a se stesso compostezza e misura. Sinner non ci ha chiesto di amarlo, ce lo ha imposto con la soave violenza dei suoi colpi. E, per ora, nessuno sa resistergli.

Perfino la giornata di un campionato di calcio finalmente combattuto, con la sua permanente ortodossia informativa, ha ceduto il passo al giovane tennista in grado di scalare il mondo. Non siamo e non saremo mai tutti esperti della sua disciplina come accadde, con la vela, per Luna Rossa e le regate notturne. Tuttavia c’è qualcosa di magnetico in Sinner che ci fa sentire in un luogo pulito, illuminato e sicuro. Sarà la sua giovinezza fresca e ammaliante, sarà il suo sguardo serio e concentrato, ma quando gioca, quando parla e, perfino, quando recita per la pubblicità, risulta credibile come piacerebbe anche all’italiano più infingardo. Ieri Sinner ha vinto quando tutto sembrava perduto. E, forse, non c’è altro sport come il tennis nel quale la solitudine ti sia amica, consigliera e complice. Ecco, noi tutti che della solitudine abbiamo paura, ci siamo trovati di fronte ad un ragazzo che ne ha tratto beneficio, insegnandoci come si fa. Non ha rinunciato, è ripartito, ad ogni colpo nuova linfa, ad ogni punto ancora energia.

Boccoli rossi è già uno di casa, come quei campioni che partono da lontano e ti accompagnano lungo la strada. L’unica incognita è capire se e quando fama, successo e ricchezza ne intaccheranno la purezza. Il rischio è concreto. Ma un eroe appena rivelato sa di non poterselo permettere.

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