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A Mantova la protesta dei cento trattori

A Mantova la protesta dei cento trattori

In presidio per cinque giorni al rondò del casello di Mantova Nord per protestare contro Ue, governo e associazioni agricole

«Se non cambia siamo finiti. E al supermercato mangeremo prodotti che arrivano dall’estero, che costano di più, fatti con Ogm»: Corrado, che coltiva cereali a Curtatone, è uno dei cento e più agricoltori che il 30 gennaio hanno portato “in piazza” i loro trattori e sintetizza così il significato della protesta che sta dilandando in tutta Europa. Allineati vicino al rondò del casello di Mantova Nord, i trattori sventolano la bandiera tricolore e mostrano cartelli che raccontano il malcontento della categoria e chiedono rispetto per l’agricoltura italiana. Immersi nella nebbia, sono stati posizionati in una strada secondaria con il rischio di non essere visti. Solo un gruppo di agricoltori si avvicina a piedi al rondò che porta al casello, ma «almeno per oggi non occuperemo le strade» spiega uno di loro. Insomma, per ora si tratta di una protesta dimostrativa nonostante la preoccupazione sia alta.

Corteo e presidio a oltranza

Radunati dalle 9, in tarda mattinata parte il serpentone di trattori in corteo, clacson spiegati e bandiere al vento: passano davanti al casello, poi strada Cipata e ritorno dalla Legnaghese sfiorando la città. Altre “trattorate” sono preannunciate per il 31 con nel pomeriggio sit-in sul rondò e il 1° febbraio una delegazione incontrerà il ministro Lollobrigida alle 11, all’inaugurazione della fiera a Verona. «Siamo singoli agricoltori, un movimento autonomo spontaneo, uniti dalla preoccupazione che sta portando alla rovina il nostro settore» spiegano. Autorizzati per cinque giorni e cinque notti, restaranno a oltranza a Mantova Nord e sperano di essere ascoltati.

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Inadeguata rappresentanza

Nel mirino ci sono le politiche agricole europee e italiane e anche le loro organizzazioni di categoria: «Non ci accontenteremo delle solite promesse, non staremo fermi a guardare chi, anziché tutelarci, sta indegnamente rappresentando la nostra agricoltura» conclude un volantino intestato “Coordinamento nazionale riscatto agricolo”, prodotto dai manifestanti arrivati anche da Verona, Modena, Reggio Emilia. «Ormai siamo schiavi dei grandi produttori - raccontano - il mercato si è globalizzato ma c’è un oceano tra la parte produttiva e chi ci dovrebbe rappresentare».

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Le richieste

«Non vogliamo contributi ma dare valore ai nostri prodotti, la dignità del giusto prezzo»: spiega Eugenio, che da 44 anni coltiva con il fratello ortaggi e parla delle fatture del 1982 in cui una cassetta di insalata veniva venduta allo stesso prezzo di oggi (4mila lire, oggi 2 euro). Le altre richieste sono un decalogo: riduzione delle tasse e dell’Iva sui prodotti agricoli, rivedere le norme sulle emissioni in atmosfera («ci equiparano a un’acciaieria«), revisione della politica agricola europea, vietare importazioni da Paesi dove non sono in vigore i nostri regolamenti produttivi e sanitari. E si appellano ai consumatori: «Arrivano prodotti ammuffiti dal Canada o dall’Est che vengono mescolati alle nostre farine buone» spiega il co-titolare della Bertelli, piccola azienda ceralicola e su alcuni cartelli sta scritto “Ogm noi non li seminiamo, voi li mangiate”. E ancora chiedono: un tavolo tecnico fatto da “veri” agricoltori; di compensare l’aumento dei costi di produzione con agevolazioni sul carburante oltre il 2026, la detassazione Irpef-Imu e una riforma dell’Iva.

Un futuro per i figli

È una sorta di “riscatto” ciò che vogliono: «Non siamo più visti come coloro che sfamano il Paese, veniamo additati come responsabili dell’inquinamento, ma siamo fondamentali per la società in quanto produttori di cibo, che è vita. Siamo qui perché vogliamo dare un futuro all’agricoltura. Non per noi, ma per tutti e per i nostri figli».

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