Acquamarina a Trieste, lo choc dei testimoni: «Dal giorno del crollo ansia e terrore»
TRIESTE. «Avevo il terrore di tutto ciò che poteva ricordare una cupola, se andavo in chiesa mi capitava di mettermi a tremare, perché associavo quell’ambiente alla cupola della piscina, e poi mi bastava sentire ovunque un qualsiasi rumore per aumentare l’ansia. A scatenare tutto era il ricordo di quel rumore così forte che ho sentito quel giorno e che poi ho saputo essere stato causato dai bracci metallici della struttura che stava crollando». È un passaggio della drammatica testimonianza della triestina A.B., una delle persone che stavano lavorando all’Acquamarina quel 29 luglio 2019, il giorno in cui si verificò il crollo della copertura della piscina terapeutica.
Le testimonianze in aula
Parole pronunciate durante l’esame dei testi del pm nell’udienza di lunedì del processo che vede imputati davanti al giudice monocratico Giorgio Nicoli l’ingegner Fausto Benussi, progettista esecutivo e direttore dei lavori per la realizzazione delle strutture della piscina, Pietro Zara, titolare dell’impresa veneta “Zara meccanica srl” incaricata della manutenzione della copertura e due addetti che stavano eseguendo i lavori il giorno del crollo, Giuseppe Pulliero e Octavian Ignat. Benussi è difeso dagli avvocati Carlo Pillinini e Guido Fabretti del foro di Trieste, Zara dagli avvocati Nicola Properzi del foro di Padova e Alessandro Moscatelli del foro di Vicenza, mentre Pulliero e Ignat sono entrambi difesi dall’avvocato Giulia Dellai del foro di Vicenza. L’ipotesi di reato è cooperazione in disastro colposo: pena massima di 5 anni di reclusione. Il pm è il sostituto procuratore Pietro Montrone.
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L’impatto emotivo
Di A.B., pur trattandosi di un’udienza pubblica, riportiamo solo le iniziali, d’accordo con la diretta interessata: nella sua testimonianza sono stati infatti approfonditi argomenti riguardanti anche la sfera personale e in particolare la salute. Ma le sue parole sono state in grado di rendere l’idea dell’impatto, anche dal punto di vista emotivo, che il disastro ha avuto su chi si trovava nella struttura ed è riuscito a scampare al crollo. Un trauma, uno shock che si fanno sentire anche adesso, a più di quattro anni di distanza.
L’ansia seguita al crollo
«Con il passare del tempo ho cominciato a stare male – ha spiegato A.B. –, a sentire una sensazione di gelo, di terrore e poi le cose sono andate sempre peggio. Non riuscivo a lavorare, a mangiare, a dormire, passavo le giornate sotto le coperte, a letto, sempre più stanca. Ci è voluto tanto per potermi riprendere, ho dovuto seguire sedute di psicoterapia e tuttora devo assumere farmaci e mi capita di avere difficoltà a dormire. Ma almeno ho potuto riprendere a lavorare».
Momenti drammatici
A descrivere i drammatici momenti del crollo è stato ieri nel corso dell’udienza anche un altro lavoratore, Marco Matta, impiegato dell’accettazione: «Mi sono affacciato sulla vetrata che dava sul piano vasca – ha raccontato – e ho notato gli operai che scendevano in fretta dall’impalcatura e si allontanavano. Ho guardato d’istinto il soffitto e ho visto che stava cominciando a creparsi, quindi sono corso a dare l’allarme per far uscire pazienti e colleghi che si trovavano all’interno. Ho sentito un rumore molto forte, forse già un principio di crollo. Abbiamo subito evacuato l’edificio, io sono uscito per ultimo e a quel punto ho sentito il boato e un fortissimo spostamento d’aria». L’Acquamarina era crollata. La prossima udienza è stata fissata per il 26 febbraio, alle 11.