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I 110 anni del Caffè San Marco a Trieste, scrigno del tempo che fu

I 110 anni del Caffè San Marco a Trieste, scrigno del tempo che fu

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Quando il 3 gennaio 1914, in una pagina interna del Piccolo, si annunciava l’apertura di un nuovo Caffè, il San Marco, nessuno poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto quel locale, che prendeva il posto di una latteria che vendeva ghiaccio, latte per bambini e yogurt, si sarebbe intrecciato alla storia di Trieste. Di più, ne avrebbe incarnato la sua immagine doppia, la sua identità costantemente contraddetta.

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Dietro gli stucchi, la Storia

Pensiamo ai sempre più numerosi turisti che, oltrepassata la doppia porta del Caffè San Marco si trovano di fronte il bancone di legno scuro, gli stucchi dorati, gli specchi, i tavolini di marmo, i divanetti di pelle nera, i fregi floreali, tutto l’insieme che evoca la Vienna di Francesco Giuseppe. Si illudono, quei visitatori, che Trieste voglia così esibire una sorta di fedeltà per il ‘mondo di ieri’, ignorando che il suo fondatore, Marco Lovrinovich, un istriano di Fontane di Orsera che commerciava in vini, ne fece un ritrovo di irredentisti che volevano cacciare gli austriaci e unirsi all’Italia. E ignorano che poco più di un anno dopo il San Marco venne distrutto e incendiato dai manifestanti fedeli all’Austria, che volevano vendicarsi per l’entrata in guerra dell’Italia contro gli imperi centrali.

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Un vecchio mondo rimasto intatto

Eppure adesso il San Marco, che nelle sere invernali sembra uno sfavillante transatlantico immerso nel buio dell’oceano, richiama alla memoria quella pagina della Cripta dei Cappuccini di Joseph Roth, il cantore per eccellenza del Finis Austrae, quando scrive che i caffè della defunta imperialregia monarchia, sempre uguali da Zagabria, a Olmutz, a Brno, a Szombathely, con le scacchiere, le tessere del domino, le pareti annerite dal fumo, i lumi a gas, la cameriera col grembiule azzurro, il gendarme con l’elmo giallo e i giocatori di tarocchi con i polsini rotondi, incarnavano un mondo vasto e variopinto eppure familiare, più forte di una semplice terra natale.

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Il San Marco è forse l’ultimo angolo di quel mondo giunto incredibilmente intatto fino a noi, e ben se ne accorse Giorgio Pressburger quando vi entrò negli anni Sessanta e si sentì subito a casa, ritrovandovi l’aria di “signorile e noncurante sfacelo” dei caffè della sua Budapest.

Attrazione per scrittori

L’essere rimasto pressoché uguale a se stesso, nonostante qualche ritocco alle decorazioni apportato negli anni Trenta e il più corposo restauro del 1989, fa del San Marco il rappresentante forse inconsapevole di una civiltà scomparsa, che ha attirato come falene intorno suoi tavolini di marmo rosa generazioni di scrittori triestini. Tullio Kezich ancora in calzoni corti si gustava una pasta Dobos caramellata all’ungherese; Stelio Mattioni, appena tornato dal campo di prigionia in Africa, nel 1947, ci andava a giocare a bridge; abitando là vicino Giorgio Voghera ci passava molte ore, tanto che Claudio Grisancich gli ha dedicato una poesia, intitolata proprio Cafè San Marco: “Giorgio Voghera/fissa/lento che scori/oltra dei vetri/danubio”. E poi Fulvio Tomizza, geloso della propria intimità ma incapace di starsene a lungo da solo, al San Marco si era ritagliato un cantuccio nel quale tenere felicemente in bilico le sue due anime.

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Magris e i Microcosmi

Ma se c’è uno scrittore cui il nome del San Marco si lega indissolubilmente quello è Claudio Magris, che ha lungamente descritto, come in ‘Microcosmi’, quanto quel luogo rappresenti la sua personale resistenza alla vita e di come, diversamente dagli altri scrittori, egli ci vada (andava?) proprio per dedicarsi alla scrittura, portandosi dietro “non più di due libri, come un naufrago aggrappato al tavolino”.

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Scacchi, giornali e pay tv

Fuori dalla sua aura letteraria, il San Marco è stato ed è molto altro. Ci si dedicava agli scacchi, si leggevano i giornali, negli anni Novanta nella sala in fondo, quella che confina con la sinagoga e in cui allo scoppio della Prima guerra mondiale si smerciavano passaporti falsi per chi voleva evitare l’arruolamento, era stato allestito uno schermo per vedere le partite di calcio trasmesse dalle prime pay tv. Ora i giornali di carta li sfogliano in pochi e sui tavolini sono appoggiati smartphone e tablet; i tempi cambiano, ma gli studenti passano ancora molte ore con davanti la stessa tazza di tè.

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Dall’ottobre del 2013 una libreria occupa gli spazi dove un tempo c’erano i tavoli da biliardo. Per Loriana Ursich, che la gestisce fin dal primo giorno, il San Marco è un luogo laico di culto. I turisti fanno foto, girano video, cliccano in rete recensioni entusiastiche. I suoi ambienti sono una golosità per chi viene a Trieste a girare un film. Il regista Sandro Bolchi vi ha ambientato alcune scene della Coscienza di Zeno - ma non risulta che Svevo fosse tra clienti del Caffè - e anche la recente fiction La Porta Rossa non ha mancato di usarlo come sfondo. Nel corso degli anni molte gestioni si sono alternate: da quella di Marco Lovrinovich alla famiglia Stock, la più longeva con i suoi cinquant’anni, fino all’attuale di Alexandros Delithanassis e di sua moglie Eugenia Fenzi. Anche in questi nomi greci, slavi, tedeschi, italiani, il San Marco sembra ancora quello della Trieste del 1914.

La sfida del presente

Mantenere la storicità dell’Antico Caffè San Marco e aprirsi alla contemporaneità è la sfida che il titolare Alexandros Delithanassis e sua moglie, la direttrice Eugenia Fenzi hanno saputo costruire in questi dieci anni di gestione e vantano, a oggi, i più importanti riconoscimenti a livello nazionale e internazionale come uno tra i 50 Caffè storici migliori del mondo.

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Grazie ad una visione di costante rinnovamento e di ampliamento del concetto mitteleuropeo, la rinascita del luogo è partita con l’introduzione della libreria all’interno del locale insieme al ripristino della pasticceria e alla riapertura del ristorante, fino alla creazione del proprio marchio di caffè che rappresenta un sigillo identitario unico nel suo genere.

Wermouth al caffè

Non solo: fra le molte innovazioni concepite, c’è anche la creazione del “Wermouth al caffè” ripreso dall’antica tradizione viennese e trasformato in un prodotto nuovo che racconta la storia della bevanda dove presente e futuro portano con sé l’autenticità del passato, raccolta e donata quotidianamente all’interno del Caffè letterario. «Il cuore di ogni progetto nasce dal concetto viennese – spiega Fenzi – che si rifà al concetto mitteleuropeo con l’obiettivo di unire la cultura del cibo alla cultura del libro».

Casa editrice

Grazie all’esperienza editoriale di Delithanassis, l’Antico Caffè San Marco è diventato anche il nome della casa editrice che racconta i classici triestini nel linguaggio delle graphic novel, progetto nato dalla volontà di avvicinare i giovani alla letteratura di Trieste. Tra le prime pubblicazioni c’è “Necropoli” di Boris Pahor con i disegni di Jurij Devetak, un libro per la prima volta raccontato unendo arte e letteratura, storia del passato e linguaggio del presente. «L’idea è nata da una contaminazione – racconta Delithanassis –, mio padre in Grecia aveva una casa editrice dove pubblicava graphic novel sulla letteratura classica e mi è sempre rimasto impresso».

Per il 2024 il progetto si amplierà con la pubblicazione di alcune libri di Giani Stuparich e Pier Antonio Quarantotto Gambini, fino ad arrivare a un’opera unica dedicata interamente alla Risiera di San Sabba. Anche le collaborazioni con la Società dei Concerti, il Trieste Film Festival e con le comunità straniere raccontano il presente dell’Antico Caffè San Marco, «un luogo che è una casa, nella letteratura, nel cinema e nella musica», sottolinea Fenzi. «Per farlo, è necessario un costante rinnovamento che per noi è possibile anche grazie al nostro personale, volutamente multiculturale, dove i ragazzi sono portatori fondamentali di diverse lingue e culture».

I progetti culturali

La contaminazione culturale è indubbiamente il cuore pulsante di tutti i progetti, come il calendario polietnico che da due anni raccoglie tutte le date religiose delle diverse comunità di Trieste, e il calendario nazionale dei paesi storicamente vicini alla città, che comprende le festività nazionali slovene e quelle austriache. Tutto insomma promette un futuro ricco di sviluppi: «Vogliamo essere menzionati ancora di più nella ristorazione, – sottolineano entrambi - vogliamo che il Caffè San Marco venga vissuto sempre di più come un caffè mitteleuropeo in tutte le fasce della giornata, attraverso l’incontro nella cultura del cibo, del vino, della letteratura e del caffè».

Il grande obiettivo che Delithanassis e Fenzi si pongono per il futuro è «portare Trieste e la cultura del caffè all’estero». «Abbiamo iniziato a viaggiare molto – spiegano entrambi – siamo stati invitati più volte a Vienna, Klagenfurt e Atene per tenere delle conferenze come principali portavoce della capitale del caffè».

Per la ristorazione invece «puntiamo all’introduzione della cucina slovena come simbolo di dialogo che il Caffè San Marco rappresenta: un ponte dell’est e dell’ovest, del nord e del sud». In questa direzione, infatti, è previsto per il futuro anche un concorso sul Pelinkovac, per far conoscere i produttori locali che hanno riscoperto le antiche ricette dei nonni e «per continuare a raccontare la nostra storia multiculturale attraverso diverse forme di dialogo». —

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