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Gli atti ufficiali, i dipinti, i progetti: il Caffè San Marco di Trieste è un’opera d’arte

Gli atti ufficiali, i dipinti, i progetti: il Caffè San Marco di Trieste è un’opera d’arte

foto da Quotidiani locali

TRIESTE Seduto da solo, in un Caffè San Marco che viene ritratto deserto per licenza poetica, Carlo Ulcigrai sfoglia il suo giornale. Dietro di lui c’è la grande insegna del Leone, in un’atmosfera silente e calda, piena di colori rossi, bruni e arancioni. Sembra di sentir suonare una musica. E quel giornale _ almeno per noi, che vogliamo che sia così _ è il Piccolo.

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Ci sono quadri fatti così: li guardi e ti chiedi chi fossero quelle persone dipinte, come si muovessero in una città, quali emozioni le guidassero. Come nelle foto più intense. Come quando guardi un palazzo dal finestrino di un treno, e scorgi la quotidianità della scena di un attimo, infilando lo sguardo tra le tende. Livio Rosignano, istriano di Pinguente, fine recensore d’arte per la nostra testata, nato cento anni fa e morto nel 2015, dipinge quest’opera in un’epoca imprecisata del dopoguerra.

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Il Caffè San Marco nell’arte

È una tante delle testimonianze pittoriche, e artistiche in generale, del Caffè di via Battisti, amato da chi racconta un luogo usando il proprio talento, nei colori o nelle parole. Il suo dipinto è presente nella collezione artistica del gruppo del leone: fa parte delle opere del Circolo Generali. E anche il protagonista di quella scena è una persona speciale: Carlo Ulcigrai (1930-1992), dirigente di lungo corso della Compagnia, era un umanista, una figura di sintesi tra la cultura e l’attività specifica delle assicurazioni. Nel 1965 consegnano nelle sue mani la direzione del periodico aziendale Il Bollettino: la terrà per tutta la vita, portando anche l’innovazione narrativa delle cosiddette pagine azzurre, un inserto speciale dedicato alla buona lettura, con racconti illustrati, dal 1964 al 1986. A lui è intitolato il premio letterario del circolo Generali, da un quarto di secolo.

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Generali e i caffè storici

Generali e i caffè storici intessono da sempre una relazione di amorosi sensi; una relazione consapevole della storia e fiera di tutelarla. Quando il Porto Franco introduce in città la “nuova spezia” dalla Martinica e da Alessandria, questi luoghi speciali diventano di più di semplici esercizi. Sono l’incrocio di pensiero e cultura, coltivano la lettura dei quotidiani e la strategia del gioco sulle scacchiere, il biliardo e la musica. Il San Marco è il più giovane. Trova posto nel Borgo Franceschino: quartiere elegante, realizzato dal 1796 con un’intuizione urbanistica che gli donava una vocazione residenziale.

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Per erigerlo servì una concessione dell’Imperatore Francesco II, per quello lo avevano chiamato così. Nel borgo, tra il 1817 e il 1827, erano sorti due nuovi teatri (Arena scoperta e Mauroner); poi la passeggiata lungo l’Acquedotto (che oggi è il percorso alberato di Viale XX Settembre) e, appunto, tanti caffè. C’è un altro bel dipinto nell’archivio Generali, di Roberto D’Ambrosio. Questa volta il San Marco ospita una quindicina di avventori, parzialmente raddoppiati in un sapiente gioco di specchi. Guardarlo è un piacere.

La costruzione

L’anno della costruzione del palazzo è il 1903. La firma è quella di Giorgio Polli, capofila di una filiera generazionale di architetti e ingegneri (Berlam e Geiringer, su tutti). È anche consulente per Generali. Il 6 dicembre 1910 è la data dell’acquisto dell’immobile da parte della Compagnia, che chiude l’affare con l’imprenditore Oscar Napp. (Curiosità: di Napp resta un segno negli archivi e nei motori di ricerca, per la proposta, tra il 1903 e il 1906, di costruire uno stabilimento balneare sulla riviera di Sant’Andrea a Muggia; con la promessa di negoziare con la Società Muggesana di Navigazione a Vapore, per il trasporto dei bagnanti da Trieste).

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Nel 1932 l’edificio del San Marco è già diventato un vanto: compare nell’album che ricorda i primi cento anni di Generali con i più bei palazzi della Compagnia in tutto il mondo.

La svolta con Marco Lovrinovich

Poi, in questa trama, arriva un personaggio chiave. Marco Lovrinovich si risolve ad aprire il caffè in un’ala del piano terra e lo dedica a San Marco, con la famosa scelta contrastata dalle autorità austriache: lo invitano a desistere a puntare su un’intitolazione a San Giusto, disturbate da quello che per loro è un richiamo a Venezia. Lovrinovich argomenta che Marco èil nome di suo padre, resiste e riesce ad aprire. Diventerà presto il caffè degli irredentisti. E l’iconografia parlava chiaro: riferimenti chiari al tricolore, scudi con il simbolo del leone, citazioni addirittura sui lampadari.

Dure prove

Il Caffè ha affrontato dure prove nel corso della storia. Nel maggio del 1915, come noto, i filo-austriaci lo distrussero. Ma ha sempre saputo resuscitare, come una Fenice. E molti restauri l’hanno difeso, preservato, quasi abbracciato e protetto. L’architetto Lucio Arneri, nel 1990, commenta così la ristrutturazione del 1988, commissionata dalla Compagnia. Lo fa nello stesso Bollettino diretto da quell’Ulcigrai con il quale si apre l’articolo che state leggendo. «Si è dovuto lavorare, e si è lavorato parecchio, con l’impegno di non mostrare quanto è stato fatto», «in punta di piedi»,mettendo mano alla rete idrica, al riscaldamento, alla circolazione dell’aria, al sistema antincendio, all’illuminazione: lo scheletro nascosto e imprescindibile del San Marco, capace di condurlo fino a noi, ai giorni nostri. L’essenziale del Piccolo Principe, quello che è invisibile agli occhi.

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