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Italia-Corea del Nord: così lontane, così vicine



In apparenza, sono distanti. Di fatto, il Paese sotto Kim Jong-un è strategico negli equilibri dell’Indo-Pacifico. E, come dimostra il viaggio di Giorgia Meloni in Oriente, ci riguarda.


Il primo elemento di cui tenere conto è che il blocco autoritario a guida sino-russa che si contrappone all’Occidente a guida «anglo» è più feroce ai margini, dove dispone di vassalli in grado di esercitare livelli superiori di aggressività non direttamente imputabili a Mosca e Pechino. Ciò che vale per l’Iran, che mette in fibrillazione le sue numerose forze alleate (da Hezbollah agli Houthi), vale a maggior ragione per la Corea del Nord. A differenza della teocrazia iraniana, Pyongyang è infatti potenza nucleare (e non solo), e non perde occasione per ricordarlo al resto del mondo. Mosca ha dato un contributo decisivo allo sviluppo dell’arsenale atomico nordcoreano.

Per quanto invece riguarda la Cina, la diffidenza iniziale ha lasciato sempre più spazio al sostegno ai vicini di casa. Va da sé che il primo imperativo strategico per Pechino sia quello di evitare una distensione tra le due Coree e in ultima istanza una riunificazione della tormentata penisola asiatica.

La situazione dell’area non promette nulla di buono. La retorica bellicistica fa premio sui toni diplomatici. I cambiamenti nella dottrina e nella postura militare hanno accompagnato duri scambi verbali. Entrambe le parti si identificano pubblicamente come «nemico principale», rendendo l’attuale stato delle relazioni intercoreane un confronto frontale senza soluzione di continuità.

Mentre la Corea del Nord ha potenziato le sue capacità nucleari e missilistiche, la Corea del Sud ha risposto rafforzando la deterrenza convenzionale contro il pericoloso «confinante», aumentando l’intensità e la frequenza delle esercitazioni e degli addestramenti militari congiunti con gli Stati Uniti e facilitando il dispiegamento di risorse strategiche americane nel Paese. Al plenum del Comitato centrale del Partito dei lavoratori della Corea (WPK) dello scorso 30 dicembre, il dittatore Kim Jong-un ha dichiarato: «La parola “guerra” è sempre più realistica, non un concetto astratto».

Peraltro questa percezione non è il solo «leader supremo» ad averla, ma è ampiamente condivisa.

Il generale Mark Milley, ex capo di stato maggiore statunitense, ha dichiarato nell’intervista rilasciata alla testata giapponese Nikkei la scorsa estate che «la Corea è un’area in cui gli Stati Uniti potrebbero - non dico che lo faranno, ma “potrebbero” - trovarsi in uno stato di guerra, sapete, entro pochi giorni, con pochissimo preavviso».

Queste valutazioni allarmistiche suggeriscono che il 2024 potrebbe rivelarsi addirittura più pericoloso del 2017, quando le durissime dichiarazioni di Donald Trump nei confronti della Corea del Nord spaventarono i sudcoreani e il mondo intero. In un lungo articolo pubblicato dal National Interest, lo studioso coreano Chung-in Moon sostiene che una guerra figlia di un piano premeditato sia una possibilità residuale. Molto più alto, in compenso, è il rischio che si verifichino scontri militari accidentali tra le due Coree, e che questi portino a un’escalation in un conflitto limitato o totale con armi nucleari.

Chung-in Moon si rifà al grande stratega militare prussiano Carl von Clausewitz, il quale coniò il termine «nebbia di guerra» per descrivere le incertezze legate allo scoppio e allo svolgimento dei conflitti. Si ritiene comunemente che la Corea del Nord disponga di tre opzioni per quanto riguarda l’uso dell’arsenale nucleare: diplomazia coercitiva, deterrenza offensiva e deterrenza difensiva entro il 2030.

La diplomazia coercitiva, considerata l’opzione principale, consiste nella minaccia del ricorso ad armi nucleari in cambio di vantaggi politici, diplomatici ed economici.

A lungo la Corea del Nord è stata terra incognita per l’Italia. Non potrà rimanerlo a lungo. A essere molto preoccupato dal Paese è infatti il Giappone, che con Roma (e Londra) ha stretto un partenariato strategico con programmi-chiave per lo sviluppo di tecnologie militari di superiorità. Tutto ciò fa sì che l’Italia debba oggi aggiungere un’ulteriore variabile alla propria equazione strategica. Detto altrimenti: l’alleanza con il Giappone e la ricerca di profondità nell’Indo-Pacifico possono essere oggi per l’Italia quello che nel diciannovesimo secolo la campagna di Crimea rappresentò per il Regno di Sardegna e l’indimenticato Camillo Benso, conte di Cavour. n

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