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L’estratto. C’era una volta una sinistra che promuoveva la famiglia, il lavoro e la Nazione…

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto del libro di Giovanni Sallusti “Mi mancano i vecchi comunisti. Confessione inaudita di un libertario” (Liberilibri, pp.144, euro 16). Ai lettore del Secolo d’Italia le conclusioni, in senso letterale, del pamphlet. *** Il Vecchio Comunista non s’iscriverebbe mai, per nessun motivo, alla caccia politicamente corretta contro quello che […]

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Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto del libro di Giovanni Sallusti “Mi mancano i vecchi comunisti. Confessione inaudita di un libertario” (Liberilibri, pp.144, euro 16). Ai lettore del Secolo d’Italia le conclusioni, in senso letterale, del pamphlet.

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Il Vecchio Comunista non s’iscriverebbe mai, per nessun motivo, alla caccia politicamente corretta contro quello che Pascal Bruckner ha chiamato il “colpevole quasi perfetto”, il colpevole per eccellenza della contemporaneità. Il maschio bianco eterosessuale, e chi se no? È lui, l’imputato perenne davanti al Tribunale Rivoluzionario contemporaneo, un tribunale che non condanna perché ritiene di avere il vento in poppa della dialettica storica, ma cancella perché vuole farla finita con qualsiasi simulacro di storia che assegni un qualche ruolo di rilievo alla tradizione e all’umanità occidentale, quindi con la storia tout court, perché sì, aveva ragione quel bieco reazionario suprematista di Karl Marx, senza Occidente non c’è Storia.

Per cui l’esecuzione del “colpevole” è un monito, è un’esecuzione esemplare non solo “ideologicamente”, come accadeva nel comunismo, ma “culturalmente” nel senso di Huntington: con l’uomo bianco colonialista ed eterosessuale è tutto un modello che scompare, è tutto un mondo che tramonta, il nostro mondo, come volevano gli “irrazionalisti” contrastati strenuamente da Lukàcs. Il Vecchio Comunista non era nient’altro che una variante (degenere, provvidenzialista, totalitaria) del modello. Alle elezioni politiche del 1948, le elezioni in cui era in gioco l’appartenenza dell’Italia all’Ovest o all’Est, alla libertà o al gulag, quello che oggi si chiamerebbe lo storytelling del Partito Comunista (allora saldato col Psi nel Fronte Popolare) annoverava tra le sue parole d’ordine più evidenti la “famiglia” e la “patria”.

Quelli che erano i manifesti di punta del Pci, in una campagna incandescente e giocata in una vera e propria guerra simbolica di affissioni (allora c’era la propaganda seria, non le sponsorizzate su Facebook), oggi sarebbero giudicati troppo blasfemi rispetto al dogma Woke perfino da un gruppuscolo a destra di Fratelli d’Italia. Il più iconico riportava lo slogan-petizione: “Per la difesa della famiglia”. Su sfondo ovviamente rosso, emergevano stilizzate le fattezze di un uomo, di una donna e di un bambino (orrore esclusivista e “cisgender”, strillerebbe oggi l’ultimo attacchino del Pd, il partito in teoria figlio del Pci). Ad aggravare il tutto, in lontananza si intravedono i contorni di una fabbrica e di un campo arato: i valori di riferimento del Fronte Popolare sono la famiglia tradizionale e il lavoro, ce n’è abbastanza per fare andare di traverso l’aperitivo al Soviet Arcobaleno della Ztl.

Un altro manifesto riprendeva, con forzatura storicistica tutta marxista, i “valori risorgimentali”, li collegava alla “lotta di Liberazione” e concludeva con quello che oggi sarebbe bollato come un rigurgito etno-nazionalista inaccettabile: “Salviamo la Patria”, mentre nella grafica la bandiera tricolore addirittura primeggiava su quella rossa, la “cultura” prima dell’”ideologia”, il comunista del 1948 (pieno stalinismo) più a suo agio con l’essere italiano (quindi europeo, quindi cristiano, quindi occidentale) del wokista del 2024.

Un terzo manifesto arrivava a raffigurare De Gasperi nelle vesti di “cecchino di Truman” e a chiedere il voto per “Garibaldi” (icona del Fronte Popolare come oggi potrebbe esserlo Fedez di quello Politicamente Corretto) e “contro i venduti allo straniero”. Conta niente che gli autori volessero “vendere” l’Italia allo “straniero” totalitario e moscovita, è agli atti, come è agli atti, grazie a Dio (o alle “beghine” celebrate dal laico Benedetto Croce), la vittoria travolgente della Democrazia Cristiana, dell’Ovest, della libertà. Conta, qui, che nella narrazione politica del Pci togliattiano “famiglia” e “patria” fossero parole/concetti positivi, e che l’accusa pubblicizzata all’avversario fosse quella di “vendere allo straniero” l’Italia.

Sì, il paradigma si è davvero ribaltato. Sì, chi scrive li avrebbe combattuti fino all’ultima goccia di energia, perché incarnavano l’abbaglio e l’abisso dell’Occidente, erano la sua anima nera, l’orrore totalitario gemello di quello appena sconfitto. Sì, li rimpiango amaramente, non è nemmeno più nostalgia struggente, è un appello disperato, è una seduta storico-spiritica, sono un vedovo inconsolabile dei Vecchi Comunisti. Perché la mia, la nostra casa sta bruciando. I piromani ostentano un sorriso corretto e inclusivista, si proclamano loro eredi, ma non c’entrano nulla con loro, hanno ribaltato tutte le loro parole d’ordine, sono anti-produttivisti, anti-realisti, anti-occidentalisti. Non perseguono la sintesi dell’uguaglianza, non hanno una meta, vivono in un eterno presente ringretinito e perseguono l’apocalisse petalosa, la mera e benpensante distruzione della ragione, della (nostra) storia, della (nostra) civiltà. Tornate, compagni!

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