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Gino Pistoni campione di sportività e altruismo, per i nipoti è un modello di coerenza

IVREA

Campione di sportività e altruismo. È riassunto così Gino Pistoni sul pannello che sovrasta la vecchia biglietteria dello stadio comunale a lui intitolato. Un profilo intenso condensato in tre parole, breve come lo spazio della sua vita, racchiuso tra le date 1924-1944, poste sotto al ritratto, entro le quali è riuscito a consegnare all’eternità il suo messaggio. A ricordare e commentare la sua figura e la sua importanza è il pronipote Michele Pistoni, 18 anni, il cui nonno paterno era il fratello minore di Luigi, per tutti Gino.

Come ci si rapporta con la memoria di un prozio così “impegnativo”?

«Si cresce con i racconti, in casa, e sentendone parlare anche fuori, nelle sedi più disparate. Mai nessuno, però, in famiglia, ha usato toni agiografici o volti a esaltare la grandezza di Gino: il ricordo trasmesso è stato quello di un ragazzo normale, vitale, che praticava con passione lo sport, dal calcio al basket, in cui si distingueva tra i migliori giocatori della squadra locale, e dallo sci all’alpinismo. E, soprattutto, che credeva nei propri valori e ideali. Per questa sua caratteristica lui rappresenta, nella quotidianità, il modello che mi ispira a dare il buon esempio agli altri e a vivere una vita che non mi porti ad avere dei rimorsi per le azioni compiute».

Un eroe che si è sacrificato?

«Piuttosto, una persona che ha compiuto una scelta in base ai propri principi. Che ha deciso istintivamente di attardarsi a soccorrere un ragazzo ferito che chiedeva aiuto, incurante del fatto che fosse della fazione opposta alla sua, e che, nel tentativo di condurlo verso un riparo è stato colpito a morte, avendogli una scheggia di mortaio reciso l’arteria femorale. In questo lo sento modello, perché anche io vorrei che fossero sempre i miei ideali a guidare il gesto compiuto d’ istinto. L’azione di Gino ha certamente una sua bellezza romanzesca, sublimata nel testamento spirituale scritto col proprio sangue sul tascapane, ma la vivo come un aspetto secondario. Lo stesso vale per il processo di beatificazione avviato dal compianto monsignor Luigi Bettazzi e tuttora in corso. Sono felice se tali aspetti e il fascino di questa storia possono coinvolgere i giovani e far loro trovare un modello, ma, per quanto mi riguarda, mi sento lontano dal discorso della guerra, come da quello della chiesa, e mi sento invece sollecitato dal suo comportamento e dalla sua esemplare coerenza con se stesso».

È un esempio anche per quanto riguarda la passione sportiva?

«Lo scorso agosto, a Cracovia, ho conquistato il titolo di Campione del mondo junior di kayak cross. Anche mio fratello, Nicola Luigi, un anno meno di me, è un canoista promettente e condivide il mio approccio alla figura di Gino. In biblioteca abbiamo trovato diverse pubblicazioni dedicate al nostro prozio, le abbiamo lette per informarci e, insieme, ci siamo recati nei luoghi dove si è consumato il suo sacrificio, sostando, ovviamente, al cippo d’Hereraz che lo ricorda, e siamo stati entrambi colpiti dall’esempio che è stato in grado di dare con la sua morte. Esempio che ci ha positivamente segnato. Il campo sportivo, la Casa alpina a Gressoney-Saint- Jean e la piazza a lui intitolati non ci rendono vanamente orgogliosi, ma rappresentano l’ennesima possibilità che abbiamo di comprendere la grandezza dell’esempio che Gino ha dato. E di modellarci alla sua coerenza con se stesso». —

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