Le vibrazioni positive per il corpo e l'anima
Le campane tibetane, l'arpa celtica, ma anche il rumore della pioggia e del mare, o il respiro del bosco. Gli americani li chiamano «healing sounds», suoni curativi per il corpo e per l'anima. Terapie di origini millenarie, ora riconosciute dalla scienza.
Sanremo è finito, ma la musica resta. E se la musica è di qualità, ascoltarla fa bene alla salute. Lo dimostrano le più avanzate ricerche di neurofisiologia, secondo le quali l’ambiente sonoro in cui si è immersi dalla fase prenatale - col battito del cuore materno che accompagna i nove mesi di gestazione - e poi via via nel corso dell’intera esistenza, influisce sul benessere psicofisico, sulla capacità di autoguarigione e sulle prospettive di longevità.
«Il corpo umano vibra e si sintonizza su particolari frequenze dalle quali dipende il suo equilibrio» conferma Daniel Lumera, guida e riferimento internazionale nella pratica della meditazione, direttore della Fondazione Internazionale MyLife Design, divulgatore, musicista e autore del saggio 28 respiri per cambiare vita (Mondadori). «Siamo fatti per il 70 per cento d’acqua e l’elemento liquido propaga le onde sonore. Il suono, quindi, ci arriva dalle orecchie, ma anche attraverso la pelle e i liquidi interni, che funzionano come un meraviglioso strumento di risonanza».
Sono evidenze, ora confermate dalla scienza, che erano già note agli antichi. La suono-terapia con il gong e con le «ciotole cantanti» (singing bowls), o campane tibetane, era praticata nei monasteri buddhisti sulle vette dell’Himalaya ben seimila anni fa: le scodelle sonore, da percuotere e strofinare con un apposito bastoncino, sono tuttora prodotte con una lega di sette metalli collegati ai sette chakra - i punti in cui scorre l’energia vitale - e si suonano da ferme, con la parte aperta rivolta verso l’alto, o, in alternativa, vengono posizionate sul corpo da un terapeuta. Per la loro capacità di riprodurre la vibrazione dell’OM, la sillaba sacra, «le campane hanno un’immediata azione antistress e aiutano a eliminare le tossine che si accumulano negli organi» spiega Debora Romanello, insegnante di yoga e sound healer al Tratterhof Mountain Sky Hotel di Rio di Pusteria: «Al termine del bagno sonoro le tensioni si allentano, la mente è più calma, e la sensazione benefica perdura a lungo nelle settimane successive al trattamento».
È stato dimostrato che la musica agisce sui dosaggi del cortisolo, l’ormone dello stress, e aumenta i livelli di serotonina, il neurotrasmettitore del piacere e del relax. Si è anche visto che i 172 geni attivati dal processo infiammatorio vengono tutti «spenti» attraverso la meditazione accompagnata dalla contemplazione del silenzio, ma anche dall’ascolto dei mantra, i canti sacri della tradizione indo-vedica. Attualmente, poi, si fa ricerca su specifiche tonalità musicali: ne sono un esempio gli studi del biologo molecolare e pianista Emiliano Toso, che crea composizioni (disponibili anche su cd) con frequenze di 432 hertz poiché, rispetto alle musiche standard, accordate a 440 hertz, risultano più affini alla biologia delle cellule umane. «Le nostre orecchie hanno bisogno di sonorità gentili, proprio come a tavola c’è necessità di consumare cibo sano» dice Eleonora Perolini, arpista e concertista diplomata al Consevatorio Giuseppe Verdi di Milano, docente di musicoterapia e arpaterapia e fondatrice di Arpademia, l’associazione nata in seno all’Università popolare dell’Alto Monferrato che promuove corsi di arpa curativa, anche in versione celtica (i primi riconosciuti dal Ministero della salute), seminari nelle scuole, un festival internazionale (Arpe in Monferrato, febbraio-maggio 2024) e da ultimo corsi di yogharpa.
«Il termine harpa deriva da un vocabolo germanico che significa “pizzicare” e in effetti pare che alcuni piccoli movimenti come seguire il tempo ritmico, usare in modo diverso le dita e i polsi, tirare e accarezzare delle corde facciano scattare un meccanismo di risveglio per certe aree del cervello e della sensibilità del corpo, che magari nel tempo sono sono rimaste poco stimolate e rischiano di atrofizzarsi» chiarisce Perolini. Come è stato verificato dai test condotti all’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, «il suono dell’arpa modula la sintesi della prolattina, un ormone secreto dall’ipofisi che ha un’intensa azione calmante, e migliora anche l’attività del diaframma e le funzioni respiratorie: si spiega così l’effetto pacificante dell’arpa su donne in gravidanza, malati di cuore, pazienti affetti da patologie oncologiche e degenerative, sui bambini prematuri e sugli anziani».
Nutrirsi di suoni rasserenanti durante il giorno aiuta anche a dormire meglio di notte. Ma se l’insonnia non molla la presa, si può ricorrere a un dispositivo da tenere sul comodino - come per esempio la Sound machine di Snooz - che diffonda il cosiddetto «rumore bianco», caratterizzato da ampiezza costante in tutta la gamma di frequenze udibili e capace di mascherare, grazie a un effetto leggermente ipnotico, le interferenze che impediscono l’addormentamento. Chi invece preferisce il silenzio (o quasi), potrà affidarsi alle Ozlo Sleepbuds, auricolari che cancellano i brusii di fondo e trasmettono «Healing sounds».
«La pioggia suona. Strumenti diversi per ogni stagione, e offre una colonna sonora a tutto ciò che incontra ricreandone gli odori: l’asfalto, le persiane, le ringhiere, i vasi, i tetti delle case» annota Emiliano Cribari nel prezioso La cura della pioggia (Ediciclo).
Per ascoltare la armonie più terapeutiche e a costo zero - quelle degli acquazzoni ma anche delle onde, del vento, delle foglie - non resta che tornare più spesso in natura. n