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L’identità del Nord Est è fondata su un nuovo concetto di comunità

Dai riflettori, al chiaroscuro. Il Nord Est che nei due decenni finali del secolo scorso era stato al centro dell’attenzione mediatica e degli studiosi, dall’avvio del nuovo millennio è progressivamente slittato in una sorta di penombra. Non è più capace di impennate nelle sue performance economiche e si è progressivamente allineato alla media nazionale ed europea.

All’insegna del “più-zero-virgola”: più o meno al di sopra, ma sempre rimanendo attorno alla media. Un esempio su tutti: nel 2000 il Pil pro-capite del Nord Est era superiore di circa il 35% rispetto alla media Ue, ma da allora è progressivamente declinato fino a giungere al 5% (2022). Come dimostrano anche le analisi della Fondazione Nord Est, le regioni nordorientali d’Italia sono state sublimate dalle realtà territoriali che dal Veneto centrale si prolungano lungo l’asse della A4 fino a Milano e poi giù lungo la Via Emilia.

Secondo l’ultimo studio Regional Innovation Scoreboard dell’Ue, rispetto alle 239 regioni europee analizzate, fra 2021 e il 2023, il Veneto scende dal 95º al 111º posto, il Friuli Venezia Giulia dall’89º al 102º, la Provincia autonoma di Trento dall’85º al 104º e quella di Bolzano dal 120º al 139º. Dunque, si avvera la sindrome di una «crescita declinante».


Per approfondire


I motivi della perdita di forza sono noti e risiedono nell’esaurirsi dei fattori propulsivi che costituivano il propellente per la “locomotiva”: sistema d’imprese che affonda le radici in settori maturi, piccole dimensioni delle aziende, infrastrutture che si realizzano troppo lentamente, territorio eccessivamente antropizzato nelle realtà a più elevato insediamento produttivo, e così via. Il fattore demografico, poi, è quello più dirompente. Il numero di figli per donna in età fertile è attualmente di 1,2, quando la condizione di equilibrio richiede un tasso di 2,1.

E per avvicinarsi a quella soglia sono necessari interventi urgenti a sostegno della natalità e genitorialità i cui esiti matureranno non prima di un decennio. Più attendiamo nelle azioni di contrasto al fenomeno, più allunghiamo i tempi della ripresa. Nel frattempo, le scuole non riescono a formare classi, alle imprese manca manodopera.

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Ora, lo spartito di progettualità e interventi su questo tema (così come per gli altri) non manca. Basterebbe andare a vedere cos’è stato realizzato in altri paesi e adattarlo al contesto territoriale nordestino. Ma la questione è più profonda, culturale: ed è che le classi dirigenti (che non sono confinabili alla sola sfera politica, ma anche a quella della rappresentanza degli interessi, dell’associazionismo volontario) del Nord Est non hanno avuto la capacità di affrontare per tempo e innovare le logiche della propria azione a fronte di un contesto radicalmente mutato, caratterizzato da incertezza e velocità. In precedenza, aveva funzionato lo stile ispirato alla libertà di azione degli “spiriti animali” imprenditoriali che hanno portato a un livello di benessere diffuso e persistente.

Oggi quegli schemi di azione mostrano tutta la loro fragilità: è la difficoltà (avversione?) a “fare sistema” e “alleanze” tanto sul piano politico-amministrativo, quanto nei sistemi di rappresentanza. In un contesto aperto alle sfide globali servono altri tratti: capacità di coordinamento e collaborazione, cooperazione e costruzione congiunta di progettualità. Serve passare da un’idea di sviluppo caratterizzato da un “capitalismo da condominio” a uno maggiormente “coordinato e amministrato”.

Un amministratore non si sostituisce alle progettualità dei singoli: le asseconda o le contiene. Ma non propone linee di sviluppo del condominio medesimo. Nel momento in cui le condizioni diventano instabili e più complesse, quelle spinte tendono a confliggere. Funziona meglio una logica di azione ispirata alla collaborazione fra più soggetti, dove le propensioni individuali – se necessario – cedono la primazia al bene comune.

Dove l’agire cooperativo diventa un paradigma. Si pone, allora, un tema di “consapevolezza” perché è nella frizione fra velocità del cambiamento e difficoltà a cooperare che prende forma la sindrome della «crescita declinante» del Nord Est.

Alcuni segnali di nuovi schemi di azione non mancano: dalle fusioni fra BCC (dalla Pordenonese e Monsile, fino alla più recente BCC Veneta), alla crescita delle comunità energetiche; dall’accordo fra Confindustria Veneto Est con Regione Veneto, CDP e Comunità di S. Egidio sulle abitazioni per i lavoratori, passando per il ruolo di perno di un sistema culturale giocato dal teatro Verdi di Pordenone. Sono solo alcuni esempi di strategie che vanno nel senso di creare «ecosistemi territoriali», alla ricerca di una identità del Nord Est fondata su una nuova idea di «noi», di «comunità».

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