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Zaia infiamma il cuore dei militanti: mi piaceva di più «Lega Nord»

«Posso? Mi piaceva di più Lega Nord». Ovazione in sala, Zaia non riesce a riprende il discorso. Tanto che alla fine chiosa: «Dico di più, la Liga».

In 500 affollano il Bhr di Quinto, alle porte di Treviso, per l’assemblea dei militanti della Lega trevigiana (2.400 con i sostenitori, +17% sul 2022), feudo del Carroccio e riferimento in Veneto.

E l’assise diventa la giornata dell’orgoglio e dell’identità, della storia e delle radici. Se doveva essere il termometro del partito nel suo zoccolo duro regionale, Meloni (e Tajani), con rispettivi partiti sono avvisati: pronti a correr da soli, a qualsiasi livello, come ha detto più esplicitamente di tutti il segretario regionale Alberto Stefani. Pronti a candidare comunque un leghista alle prossime regionali, a prescindere. Gli alleati? La Lega non accetterà «imposizioni», né «personalismi». Alleati avvisati, alleati salvati, visto che si baruffa a macchia di leopardo?

Il segretario provinciale Dimitri Coin è altrettanto esplicito: «Basta farsi spaventare dalle percentuali degli altri, Conte a Treviso, e non solo lui, dimostrano che quei voti (FdI ndr) sono nostri e possiamo riprenderceli, da artefici del nostro destino».

Conte scomoda prima le radici («Io per primo mi dico “senza la Lega non sarei nessuno”»), poi avverte i dissidenti («Basta sfoghi, ci si confronta e magari si litiga, ma non sui giornali»), e infine indica la via, letteralmente.

«Si vince battendo i marciapiedi, io a Treviso posso dire di averli battuti tutti...», e la sala ride due volte, perché poi la pezza – «parlavo agli uomini e non alle donne» - non è la migliore .

Il padre nobile Gian Paolo Gobbo scomoda «la storia ultramillenaria del Veneto, oscurata da poteri e fascismi».

Lancette indietro, visto che ricorda la saga di Comencini e dell’unico consigliere che non strappò (lui stesso)? No, avverte chi ha voglia di avventurismi e strappi: «Questo è la Lega, questa è la casa, fuori non si va, anche perché si sa come finiscono i partitini venetisti e autonomisti».

Battaglia da dentro. E il successivo dibattito a porte chiuse rilancerà proprio l’orgoglio (con contorno di rabbia, ma la Fallaci non c’entra). Il più applaudito è l’intervento dell’assessore Federico Caner, che va giù senza mezzi termini. «Non è scritto da nessuna parte che il segretario debba essere lombardo, qui in Veneto abbiamo un peso e una storia, ma ci sono anche altre regioni, e comunque dovremo avere un altro peso e coinvolgimento nel partito».

Di più: «Si deve toglie il nome di Salvini dal simbolo, un conto è usare il nome di Zaia, Fontana o Fedriga per una lista che corre alla elezioni, ma la casa va oltre ogni componente singolo». E poi l’accusa al Capitano: «Noi siamo un partito territoriale , né di destra né di sinistra, Salvini l’ha trasformato senza un congresso in un partito di destra e nazionalista».

E giù bordate ai colleghi amministratori del Sud, su concessioni, balneari, agricoltura e turismo: «Mi dicono di fermarci, con le nostre politiche, che li mettiamo in difficoltà: ma intanto al Sud fanno incetta di contributi. E noi?».

Stefani non c’è più, in sala: fischieranno le orecchie a Salvini? La decina di caldissimi applausi raccolti dice che non sono pensieri solo suoi. Un militante boccia il ponte sullo Stretto («Assurdo e fuori luogo in questa fase di difficoltà economiche»), ma lo stesso Zaia, poco prima, aveva detto che sogna un futuro della Lega come «partito del lavoro, sì, labour, degli operai , dei giovani».

«Dalla Lega non si esce», conclude Caner, rispondendo a chi lo vedeva già verso Forza Italia (piuttosto, non si vede in sala Angela Colmellere, ex parlamentare, consorte dell’assessore regionale bellunese Giampaolo Bottacin, tentato da Tosi).

Eh sì, tanta voglia di Nord e Veneto. L’impressione è che l’attacco di FdI all’icona Zaia abbia finito per ricompattare la Lega, e non a caso in sala ci sono pure dissidenti, scontenti ed eretici.

Oltre venti gli interventi. Il supercapogruppo di palazzo Ferro Fini, Alberto Villanova, fa della candidatura di un leghista alla Regione, nel 2025, un assioma. « È la linea del Piave, non passa lo straniero, l’alleanza si fa ma se c’è rispetto, gli altri sono entrati a casa nostra, in Regione siamo 33 leghisti su 51», (citofonare De Carlo, Donazzan & Co). C’è chi come Mauro Michielon invoca Zaia capolista alle Europee (e intanto l’ex deputato Bepi Paolin lancia in rete un’apposita petizione).

A Treviso è rinata la Liga. Carica e compatta come mai negli ultimi anni.

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