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I ricordi di Silvano Montenuovo: «Erano gli anni dell’Udinese in serie C, al Tempio io davo i risultati»

Il tabellone, papà Celso, «l’aveva fatto fare non si sa da chi, era di velluto rosso, impeccabile. Due metri di larghezza, un metro e mezzo di altezza», racconta Silvano Montenuovo, classe 1940, il figlio. Era lui, anni Sessanta-Settanta, che saliva sulla scaletta e lo riempiva di caselle: risultati e classifica della serie C.

Sciarpa, berretto e cuscinetto bianconeri, i tifosi uscivano dallo stadio Moretti e prendevano la strada direzione bar Al Tempio, punto di riferimento domenicale per sapere com’era andata a Venezia, a Padova, a Seregno, a Cremona, a Vercelli, la leggendaria Pro Vercelli.

C’era la radio, ma Ameri e Ciotti si rimpallavano la serie A, Ezio Luzzi raccontava dal purgatorio della serie B e com’era andata nell’inferno della C lo scoprivi soltanto guardando in alto, all’angolo tra soffitto e parete, a destra per chi entrava da via Rivis, a sinistra per chi preferiva l’ingresso da via Poscolle: lì c’era il tabellone.

La famiglia Montenuovo ha gestito il locale (chiuso nel 2012, oggi c’è un’agenzia di viaggi) dal 1935 a metà anni Settanta. Celso, di Caneva di Tolmezzo, con la moglie Elsa Zucco, di Buttrio, Silvano e il fratello Gianni.

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«Sono entrato in bar che avevo sei-sette anni, appena finita la guerra. Prima di andare a scuola, pulivo il pavimento con acqua e segatura. Per quell’epoca era un obbligo – spiega Silvano –. Poi, crescendo, sono andato dietro il banco. Ma non facevo solo caffè e cocktail, mi toccava far sapere agli udinesi quello che accadeva al Moretti e nel resto della C».

Silvano aveva comprato le caselle alla cartoleria Benedetti di via Vittorio Veneto. Nere, verdi, gialle, «mi piaceva dare un po’ di colore. Già il lunedì o il martedì preparavo la giornata successiva. Ma quando arrivava la domenica, iniziava il “lavoraccio”». Impegno durante la partita: rispondere al telefono.

«Ci chiamava chi non era allo stadio, voleva sapere come stava andando. E noi glielo raccontavamo, perché papà avevo accesso libero al Moretti: si metteva i thermos di tè in mezzo alle gambe sulla Vespa e li portava alle squadre, all’arbitro e ai guardalinee. E da lì informava me e Gianni quando qualcuno segnava. Telefoni roventi per ore. Un giorno la Telve ci minacciò: se continuate così, vi tagliamo i fili».

Impegno dopo il triplice fischio: contattare gli altri campi, raccogliere il risultato e piazzare le caselle sul velluto rosso. «Era come infilare una puntina: 0-1-2 gol, non si segnava tanto in quel periodo. Poi aggiornavo la classifica, le partite vinte, pareggiate, perse, le reti fatte e subite».

Su quel tabellone trovavano spazio anche il Totocalcio e la colonna del Totip, le corse dei cavalli. Il bar Al Tempio di quegli anni era il ritrovo degli sportivi.

«Vendevamo i biglietti, organizzavamo trasferte per qualche decina di tifosi caricandoli con panche e viveri su un camion, in settimana i giocatori, ricordo Galeone, Zampa, Zardo, Mantellato, venivano a giocare a carte. C’era un continuo viavai».

Come dimenticare il pomeriggio della vita: Udinese-Milan 3-2, 1 maggio 1955. «Incassammo 3 milioni, facemmo fuori tutto. Al mattino si era presentato un signore distinto di Milano. Ci mostrò i fogli delle 10 mila lire, avrebbe pagato qualsiasi cifra, ma non c’erano più biglietti. Si arrabbiò tantissimo, ma cosa avremmo potuto fare? ».

Silvano, quella partita, la vide arrampicato alla gradinata: «Avevo portato io il tè allo stadio quel giorno. C’erano 30 mila persone al Moretti, dove ce ne potevano stare la metà. Una giornata memorabile. Come tante altre al bar. C’era così tanta gente anche all’esterno che si bloccava il traffico. Non parliamo di quando trasmettevamo la pallacanestro via cavo. Con la telecamera al Carnera della ditta Zampieri riuscivamo a fare arrivare le immagini della Snaidero alla tv del bar. La radiocronaca? La faceva un ragazzino, Luigi Maffei, che avrebbe poi fatto carriera al Gazzettino»

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