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Crisi dei club degli alcolisti: dopo il Covid chiusi dieci gruppi

Cercansi volontari per i Club provinciali degli alcolisti in trattamento. La carenza di operatori (ora chiamati servitori-insegnanti) ha portato alla chiusura di una decina di club, ma anche all’allontanamento di alcune famiglie aderenti ai gruppi di auto mutuo aiuto.

L’allarme arriva dal presidente dell’Acat (Associazione club alcolisti in trattamento) di Belluno, Franco Livan, che si mostra alquanto preoccupato per il futuro dell’associazione. Vista la situazione, non resta che puntare sul progetto “Reti al cubo” per coinvolgere enti locali e volontariato ed elaborare una serie di progetti pensati per il benessere delle persone.

I numeri

In provincia attualmente sono attivi 23 club per alcolisti in trattamento: dieci a Belluno (che comprende l’area da Longarone ad Alpago, da Ponte nelle Alpi a Belluno e da Santa Giustina a Limana), otto nel Feltrino, quattro in Agordino e uno a Calalzo. Quest’ultimo è gestito dall’operatrice Anna Berlin che è stata anche presidente dell’Acat Cadore diverso tempo fa.

«Malgrado i nostri sforzi per tenere i legami con le famiglie, il Covid ci ha allontanato e recuperare il perduto diventa poi difficile, anche perché nel Bellunese ci si scontra con una cultura del bere che non vede l’alcoldipendenza come un problema da combattere», sottolinea Berlin che poi evidenzia: «Spesso dietro legato l’abuso di alcol ci sono anche problemi di tipo psichiatrico».

Al momento in provincia ci sono poco meno di un centinaio di famiglie che frequentano i club, rispetto alle 160 del pre Covid. Durante la pandemia, infatti, hanno chiuso i club di Zoldo, Longarone e uno di Belluno.

Più esteso il problema tra Cadore, Comelico e Cortina, dov’è rimasto attivo un solo club dei sette esistenti. In difficoltà anche i club cittadini di Mussoi e Cavarzano, mentre il gruppo di Sedico sarà sospeso a breve: «Qui manca il servitore-insegnante necessario per mandarlo avanti», precisa Livan, «e quindi le famiglie hanno deciso di abbandonare. Si tratta di una sospensione in attesa che qualche volontario si faccia avanti per condurre questi incontri. Per questo abbiamo intenzione di organizzare dei corsi a questo scopo».

Non solo mancanza di volontari. La crisi degli Acat dipende anche dall’aumento degli abbandoni da parte delle famiglie che frequentano i gruppi di auto mutuo aiuto. «Abbandoni determinati dalla mancanza di volontà di superare il problema, ma anche a ricadute», sottolinea il presidente dell’Acat Belluno, che precisa come il fenomeno della dipendenza dall’alcol sia comunque in aumento.

«A determinare questa situazione è la chiusura dell’alcologia di Auronzo, un servizio importante per aiutare chi ha problemi di alcol», sottolinea Livan. «Quello che manca in provincia è una diffusa sensibilità al problema. Qui, infatti, l’uso e l’abuso di alcolici fa parte della cultura del territorio».

L’alcolista e la sua famiglia percepisce il problema troppo tardi: «E ciò è testimoniato dall’età dei nostri soci. Hanno un’età compresa tra i 40 e i 50 anni e la maggior parte di loro arriva ai club quando ormai ha toccato il fondo».

Reti al cubo

Sensibilizzare la popolazione è l’imperativo: «Dobbiamo cominciare dai medici di famiglia, ancora poco solleciti su questo punto», precisa Livan, «per continuare con gli amministratori». Ed è questo lo scopo del progetto Reti al cubo: creare una rete capillare tra enti pubblici e associazioni di volontariato per attivare e condividere progetti che mirano al benessere delle persone. «Dobbiamo coinvolgere sempre di più la società civile, perché solo facendo rete possiamo cercare una soluzione ai problemi», conclude Livan.

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