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Fermeglia, l’ingegnere-alpino che amava la montagna e credeva nella collaborazione fra scienziati: il ritratto

TRIESTE. Nella tragedia della scomparsa improvvisa di Maurizio Fermeglia, può dare conforto l’idea che abbia concluso la sua vita sul Monte Carso, luogo a lui dilettissimo. La vita del poliedrico ingegnere chimico, accademico e rettore, sportivo, alpinista e ambientalista triestino è di quelle in cui si specchiano l’amore per la natura e quello per la conoscenza.

Classe 1955, Fermeglia si laurea in Ingegneria chimica all’Università di Trieste nel 1980. Si abiliterà poi alla professione di ingegnere chimico nel 1985. Dal 1981 al 1983 lavora come ricercatore nell’antica Denmark Technical University. Nel 1984 prende servizio al Dipartimento di Ingegneria chimica dell’ateneo della sua città dopo aver vinto un concorso.

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Gli ambiti della sua attività di ricerca sono le nanotecnologie, la nanomedicina e la progettazione di materiali per le Scienze della vita. Autore di centinaia di articoli scientifici, diventa nel tempo membro di diverse associazioni internazionali nel campo dell’Ingegneria chimica. Lavora inoltre come consulente scientifico per una serie di programmi di sviluppo europei. Dal 2006 al 2012 è direttore del suo Dipartimento, dal 2010 al 2012 è presidente del Consiglio delle strutture scientifiche dell’ateneo, poi anche direttore della Scuola di dottorato in Nanotecnologie. Dal 2013 al 2019 assume l’incarico di magnifico rettore, in aggiunta a quello di coordinatore nazionale del gruppo di Principi di Ingegneria chimica.

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Uomo fiducioso nel potenziale liberatore della ragione umana, da rettore e non solo Fermeglia ha parlato spesso di temi riguardanti il futuro dell’umanità alla luce dell’innovazione scientifica. Vedeva un domani in cui molti lavori – quelli meno impegnativi dal punto di vista creativo e intellettuale – sarebbero stati rimpiazzati da macchine, mentre nuove sfide – a partire da quella energetica – ci avrebbero richiesto nuove forme di specializzazione tecnica e professionale. Riteneva anche che la cosiddetta “compartimentazione” dei settori della conoscenza andasse superata, e che chimici, medici, economisti e filosofi dovessero essere formati anche su materie come energia, ambiente e salute. Quanto ai criteri con cui scegliere una via di formazione in questi anni, gli era capitato di dire: «I giovani studino ciò che piace loro e cerchino un mestiere ad alto contenuto intellettuale, che interagisca con l'intelligenza artificiale».

Fermeglia ha praticato innumerevoli discipline sportive: tennis, alpinismo, sci alpinismo, pallavolo, pallacanestro. Grandissimo era il suo amore per la natura e in particolare per la montagna: già alpino, è stato a lungo coordinatore del Cnsas, il Soccorso alpino di cui è stato anche riformatore a livello regionale, poi responsabile per la Stazione di Trieste e insegnante di sci alpinismo e direttore della scuola Città di Trieste che raccoglia le due sezioni locali del Club Alpino, l’Aklpina delle Giulie e la Trenta Ottobre. Era tra i pochi eletti a essere stato nominato “accademico del Cai”. È stato inoltre membro di un gruppo corale di musica rinascimentale e folcloristica, dove suonava strumenti a corda.

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Componente di lunga data del Comitato scientifico della locale sezione del Wwf, ne era il delegato regionale. In questi anni le cronache lo hanno visto protagonista del dibattito contro la cabinovia di Trieste, nel quale Fermeglia è ricorso alle sue conoscenze professionali per contestare sul piano tecnico le stime e le previsioni del Comune, sul profilo dell’impatto ambientale, delle emissioni e della riduzione del traffico.

Fermeglia era sposato e padre di un figlio e una figlia. Lavoratore instancabile, insegnava ancora e sarebbe andato in pensione soltanto nel novembre dell’anno prossimo

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