Adrian Fartade: «La generazione Artemis vedrà gli umani traslocare sulla Luna»
STARANZANO «I ragazzini a cui parlerò fanno parte della generazione Artemis: nel settembre 2025 guarderanno gli umani in orbita intorno alla Luna e l’anno dopo li vedranno scendere sulla sua superficie per iniziare a costruirci una base permanente. Saranno gli ultimi ad aver visto l’umanità vivere soltanto sulla Terra, perché quelli che nasceranno dopo di loro daranno per scontato che la nostra specie stia anche sulla Luna: vedranno l’alba di un nuovo mondo».
Per Adrian Fartade, uno degli youtuber più amati dai giovani (conta ben 500 mila follower sul suo canale Link4Universe, dove si occupa di divulgazione scientifica), per comprendere la generazione Artemis, che prende nome dal programma internazionale che nel 2026 riporterà l’uomo sulla Luna, è indispensabile sfilarsi gli occhiali del passato e abbandonare quello sguardo superficiale e pregiudizievole con cui molti adulti guardano ai ragazzi d’oggi, per rendersi conto che no, non vogliono diventare tutti degli influencer da grandi. Non solo lo spazio, la Luna e Marte li affascinano moltissimo, ma anche il mestiere di astronauta, che a sua volta ha cambiato faccia rispetto a un tempo.
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Alla generazione Artemis Fartade si rivolgerà questa mattina, quando sarà ospite, per un’anteprima pensata per le scuole del Festival dell’Acqua (16-19 maggio), all’Istituto comprensivo Brignoli Einaudi Marconi di Staranzano. Ai ragazzi racconterà, con il suo piglio coinvolgente e entusiastico, ciò che si sa dell’acqua su Marte e dell’importanza di questa molecola per la vita: «È la cosa più preziosa che possiamo trovare nello spazio, perché è una molecola tuttofare: disseta uomini, piante e animali, dentro contiene l’ossigeno che ci serve per respirare e l’idrogeno che può essere impiegato come carburante».
Ai ragazzi parlerà di Marte e dell’acqua marziana. A suo parere il pianeta rosso suscita tra loro lo stesso entusiasmo che suscitò nelle generazioni precedenti la Luna?
«Credo che né la Luna né Marte abbiano mai smesso di affascinare, così come il tema delle esplorazioni spaziali. Tanto che, se guardiamo ai numeri, nel mondo non ci sono mai state così tante richieste per diventare astronauti, neanche all’epoca della missione Apollo: la selezione dell’Agenzia spaziale europea di un paio d’anni fa ha registrato il record assoluto di richieste. L’astronauta non è più il cowboy spaziale di un tempo, e i ragazzi ce l’hanno ben chiaro. Oggi è una figura jolly di scienziato, e lo dimostra bene la Stazione spaziale internazionale, un grande laboratorio di ricerca dove si effettuano esperimenti di biologia, di medicina, di robotica».
E in lei com’è nata questa passione per lo spazio e come è riuscito a trasformarla in mestiere?
«Non saprei dire com’è nata, semplicemente a un certo punto mi sono reso conto di essermi appassionato e che si trattava di una passione che potevo coltivare. Come chi ama la musica cerca di farla con qualsiasi oggetto a sua disposizione, io fin da bambino disegnavo razzi e quando uscivo d’inverno sulla neve invece di costruire pupazzi scavavo crateri lunari. Leggevo Jack London e le sue storie di avventure in luoghi remoti del pianeta e mi chiedevo come sarebbero state le avventure sulla Luna e su Marte. Ho sempre amato anche il teatro, facevo parte anche di una compagnia, e nel tempo sono riuscito a unire le due passioni, con spettacoli a tema scientifico e spaziale. Ma il teatro è una struttura un po’ ingessata, erede di un altro mondo: su internet invece ho avuto la possibilità di sperimentare nuovi linguaggi e idee, perciò l’ho scelto come mezzo privilegiato di comunicazione».
Ma c’è acqua su Marte?
«Sì, tantissima: Marte è rossa perché un tempo era blu. Quel rosso ruggine è dovuto all’ossigeno rimasto dopo che l’acqua è stata fatta a pezzi dall’energia solare, perché Marte non ha un campo magnetico che lo protegga dalle radiazioni. L’idrogeno, che è più leggero, è volato via, mentre l’ossigeno ha ossidato il terreno. Sappiamo con certezza che Marte aveva laghi e fiumi, forse anche un oceano: tutta quell’acqua ora è sotto la superficie, sotto forma di ghiaccio sepolto. Con gli astronauti avremo modo di estrarla: si tratta del bene più prezioso che si può trovare nello spazio».
Il problema più grande per il nostro futuro sarà legato al cambiamento climatico e alla carenza d’acqua?
«In realtà il problema c’è già ora. Siamo cresciuti con i climatologi che ci dicevano che avremmo avuto problemi con il riscaldamento climatico in futuro, ma il futuro è già iniziato e ci sono già regioni che già soffrono di siccità estrema. Ciò non significa che non c’è nulla da fare e il nostro compito è intervenire subito per evitare che vada ancora peggio. Il mondo di una volta non c’è più: i nonni ricordano qualche pesante nevicata, i nuovi nati non le vedranno mai. Il 2023 è stato l’anno più caldo che abbiamo vissuto e per loro sarà il più fresco che ricorderanno. Perciò è importante insegnare anche nelle scuole come si risparmia l’acqua, anche se è chiaro che il problema maggiore è legato agli sprechi d’acqua paurosi che si hanno nella rete di distribuzione e nell’uso industriale».
Cosa fare allora?
«Non si possono di certo usare gli strumenti del capitalismo, che mirano al profitto a breve termine, per affrontare il problema. Serve un’azione politica, leggi che obblighino le aziende a rendersi più efficienti. Purtroppo continuiamo ad avere una classe politica anziana, che dovrebbe votare leggi orientate al futuro e invece non fa che ragionare a breve termine».