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Alleanza Pd e M5s, si vince in Sardegna ma altrove resta un’illusione: Conte e Schlein, ancora troppo distanti

Alleanza Pd e M5s, si vince in Sardegna ma altrove resta un’illusione: Conte e Schlein, ancora troppo distanti

foto da Quotidiani locali

La vittoria di Alessandra Todde alle elezioni regionali in Sardegna, in una competizione segnata dal voto disgiunto ai danni del candidato di destra Paolo Truzzu, rilancia l’alleanza fra M5s e Pd. «La Sardegna indica che la strada imboccata tra mille difficoltà nel settembre 2019 era quella giusta. Ora va percorsa con convinzione e generosità», dice l’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, teorico e fautore della “casa comune” con i Cinque Stelle. Giuseppe Conte, che dalle elezioni politiche del 2022 in avanti cerca di esercitare la leadership del cosiddetto fronte progressista, sembra essere tuttavia molto più cauto e mette subito le cose in chiaro: «Abbiamo vinto con un “campo giusto” con le altre forze politiche. Non servono ammucchiate, campi larghissimi e minati».

L’opposizione al governo Meloni ha potuto contare in Sardegna sugli errori della destra, a iniziare da quelli di Fratelli d’Italia, che ha imposto a tutta la coalizione un candidato non gradito (soprattutto alla Lega) dopo cinque anni di malgoverno dell’ex presidente Christian Solinas. Truzzu, sindaco di Cagliari, è riuscito ad andare male persino nella città che amministra, prendendo il 18,4 per cento in meno di Todde, e, rispetto alla somma delle liste elettorali che lo appoggiavano, ha perso oltre cinquemila voti.

Ora la tentazione dei demo-populisti è quella di reiterare ovunque l’alleanza. Il 2024 è un anno elettorale molto denso e le occasioni non mancheranno. Una arriverà a breve: il 10 marzo ci sono le elezioni regionali in Abruzzo. Il candidato del centrosinistra, Luciano D’Amico, ex rettore dell’Università di Teramo, è appoggiato da Pd e M5s e sfiderà il presidente uscente Marco Marsilio. Ma il resto è ancora da costruire. In Piemonte, Pd e M5s sono divisi da una storica inimicizia che va avanti dai tempi in cui Chiara Appendino, nel 2016, sconfisse Piero Fassino. In Basilicata, il Pd riunirà a breve la sua direzione regionale per cercare di portare a casa l’accordo con il M5s e sfidare Vito Bardi, traballante presidente di Regione di Forza Italia. In Umbria, dove il voto è previsto in autunno, si dovrebbe ripetere l’alleanza Pd-Cinque Stelle che perse contro la Lega cinque anni fa, quando il dominio del salvinismo pareva insuperabile e destinato a durare anni.

«Credo che il sistema elettorale vigente per i Comuni e le Regioni imponga di fare le alleanze», osserva Lorenzo Guerini, che guida insieme a Stefano Bonaccini la minoranza del Pd. Dopo di che, aggiunge, «restano distanze sul piano nazionale. A iniziare dalla politica estera. E se si vuole costruire un progetto per il governo del Paese prima o poi andranno affrontate». Non è un dettaglio. Tra Europee di giugno ed elezioni presidenziali statunitensi di novembre, le distanze sono destinate ad aumentare.

La linea politica del Pd non è la stessa del M5s sulla guerra in Ucraina. Il che vale anche per la destra, dove la linea atlantista di Fratelli d’Italia e Forza Italia è messa in discussione da Matteo Salvini. L’entusiasmo per l’alleanza con il M5s è costato molto in questi anni al Pd, che nel 2019, per dare vita al Conte 2, accettò di partecipare al taglio del numero dei parlamentari dopo aver votato per tre volte no. Vero e unico trionfo del partito di Conte. Anche stavolta il Pd rischia la subalternità politico-culturale ai populisti, convinto che la sinistra debba usare il M5s per parlare con quel popolo che non è (più) in grado di rappresentare. Per questo il caso Sardegna, se sovradimensionato, potrebbe rivelarsi un’illusione.

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