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Pablo, 88 anni: ecco chi è il super tifoso sempre in prima fila per seguire lo sport pordenonese

PORDENONE. C’era a San Siro, quando il Pordenone sfiorò l’impresa contro l’Inter in Coppa Italia. Era in tribuna quando Domenico Fantin con un tiro da metà campo, regalò il successo alla squadra di basket della città contro Vicenza.

Da settant’anni, Gianfranco “Pablo” Mozzon c’è sempre. Cambiano scenari, presidenti, allenatori e giocatori, la costante resta lui, 88 anni tra pochi giorni, una passione infinita per calcio e basket, che segue da decenni. L’entusiasmo è lo stesso di quando era bambino: non chiede la luna, la sua passione si alimenta di emozioni.

“Pablo” ha vissuto la storia dello sport cittadino. Il Pordenone calcio non c’è più, per ora, ma il Sistema basket gli sta regalando soddisfazioni in serie B interregionale. Mozzon, abbonato del PalaCrisafulli e membro dei Fedelissimi, il gruppo del tifo organizzato biancorosso, in questa stagione ha saltato solo una trasferta. Lui c’è. Anche lontano da Pordenone.

«Non ricordo la prima partita del Pordenone che ho visto – racconta “Pablo” –, ero ancora un bambino. Soldi non ce n’erano, al Bottecchia saltavo la rete, come tanti. Quando tornavo a casa mia madre qualche sberla me la dava, ma ne valeva la pena: avevo passione». Che è rimasta.

Nella vita di Gianfranco è arrivato anche molto altro. La moglie Ninfa, che non c’è più, i figli e i nipoti, prima della pensione il lavoro come meccanico alla Savio, che gli ha regalato gioie. Tante cose belle, come i viaggi o le gite per andare a funghi, altra passione di Mozzon, l’unica che può tenerlo lontano – non per molto – dallo sport.

Sul momento più buio, nessun dubbio. «Mi dispiace terribilmente che il Pordenone non ci sia più – ammette –. Eravamo in serie B, con una bella squadra, poi purtroppo è successo quello che è successo. Ci siamo ritrovati a un passo dalla serie A, non avere più la squadra è stato un colpo durissimo per tutti».

Prima di questo epilogo, la notte di San Siro. «Non la dimenticherò mai. Mi ero vestito da ramarro, eravamo 5 mila pordenonesi. Un’emozione incredibile». Come il tiro di Fantin. «Risolse con una magia una partita punto a punto: il palazzo era una bolgia, una vittoria indelebile». Brocchi, onesti mestieranti, grandi giocatori: ne ha visti, “Pablo”, al Bottecchia, all’ex fiera e al Forum.

Sui migliori, però, non esita: «Salvatore Burrai, fortissimo: lo vedi subito che sa giocare a calcio. Ha classe da vendere. Per il basket dico Anco Mandic: anche se ha 40 anni, è ancora decisivo. E poi ha legato molto con noi tifosi, si è creato un bellissimo rapporto. Spero rimanga in società quando smetterà di giocare».

Dopo gli anni d’oro dell’A2, Gianfranco ha una speranza: «Vorrei che altri sponsor si avvicinassero alla società».

Ci sono passioni che danno un senso. Addolciscono le salite della quotidianità, fanno ridere e piangere, uniscono. Emozionano, come riesce a fare Gianfranco “Pablo” Mozzon riavvolgendo il nastro di una vita, che si mescola con la storia dello sport pordenonese. Ne esce un quadro unico, prezioso come un amore che il tempo non ha scalfito.

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