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L’intervista. Cappello: non esiste il Novecento senza D’Annunzio. Va ristudiato e rivalutato

D'Annunzio

Gabriele D’Annunzio morì il 1 marzo del 1938, ottantasei anni fa, mentre era al suo tavolo di lavoro. Per un’emorragia cerebrale. Un po’ di tempo prima aveva scritto: “Il mio cranio di lucido vetro… può incrinarsi all’improvviso”. Molti anni prima, nell’agosto del 1922, si era verificato il fatidico volo da una finestra del Vittoriale. Un […]

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D'Annunzio

Gabriele D’Annunzio morì il 1 marzo del 1938, ottantasei anni fa, mentre era al suo tavolo di lavoro. Per un’emorragia cerebrale. Un po’ di tempo prima aveva scritto: “Il mio cranio di lucido vetro… può incrinarsi all’improvviso”. Molti anni prima, nell’agosto del 1922, si era verificato il fatidico volo da una finestra del Vittoriale. Un complotto ordito ai suoi danni? Un incidente galante? Un tentato suicidio? Ma del resto lui stesso scriveva alla marchesa Luisa Casati Stampa, uno dei suoi numerosi e controversi amori: “La carne non è se non uno spirito promesso alla Morte”. Ebbene ancora oggi il Vate rimane un enigma, un personaggio scomodo, un poeta escluso dal pantheon dei grandi del Novecento, guardato con sospetto fino all’oltraggio.

Angelo Piero Cappello, critico letterario e dirigente della Creatività contemporanea del Mic, è un profondo conoscitore di D’Annunzio, di cui ha raccolto di recente gli scritti dedicati a una Vita di Gesù cui il poeta lavorava ma che non vide mai la luce. Da pochissimo uscito invece il saggio “Gabriele D’Annunzio e Luigi Pirandello cordialissimi nemici” (Ianieri edizioni). Cappello ritiene che ancora oggi su D’Annunzio pesi una damnatio memoriae.

Come è stata costruita questa immagine di un D’Annunzio artificioso e vacuo, lontano dal gusto contemporaneo?

Si tratta di un’immagine volutamente creata ad arte di cui il principale responsabile fu Carlo Salinari, storico della letteratura e dirigente del Pci. Fu lui a costruire il profilo di un D’Annunzio tutto dedito a un uso barocco della parola, in omaggio a una visione superficiale del decadentismo.

Invece?

Invece D’Annunzio si è sempre concentrato sullo scopo di fare della propria vita un’opera d’arte. Obiettivo coerentemente perseguito fino alla fine. Non è che D’Annunzio rifuggisse dalla realtà per dedicarsi ai preziosismi linguistici, era interessato al reale ma come creazione della volontà dell’individuo. Riteneva che l’impulso di vita fosse connaturato all’impulso d’arte. E viceversa. Nonostante ciò che hanno fatto credere il lascito di D’Annunzio al Novecento è molto più ampio di quello che ci hanno fatto studiare. Non a caso Montale diceva che non ci si può definire poeti se non si è attraversato D’Annunzio.

D’Annunzio era un fascista tiepido, convinto o cosa?

Qui si innesta un’altra questione per cui D’Annunzio è stato interpretato come cantore del fascismo. E’ vero il contrario: fu il fascismo a appropriarsi di tanti miti e riti che D’Annunzio aveva inventato durante l’impresa fiumana. Però è altrettanto falso affermare che fosse del tutto estraneo al fascismo perché D’Annunzio era semmai critico verso ciò che il fascismo diventa dopo il 1925, ma il sansepolcrismo è un’area culturale in cui si ritrova e che ha radici nel sindacalismo rivoluzionario di Sorel. Né possiamo fare di D’Annunzio un antifascista.

Defascistizzare D’Annunzio e il Vittoriale è un’operazione possibile?

E’ un’idea che non condivido perché un monumento ha senso nel suo contesto storico. Cioè non possiamo fare del Colosseo un simbolo della fratellanza tra cristiani e pagani. Il Vittoriale è la testimonianza di un uomo che ha vissuto un periodo di quella storia sia nella fase di adesione ideale sia nella fase di critica.

In cosa D’Annunzio fu moderno?

Ha inventato tutto quello che si poteva inventare agli inizi del Novecento. Parole come scudetto, tramezzino, automobile, velivolo, sono tutte invenzioni sue. E ancora l’idea di mettere il linguaggio al servizio della pubblicità, dalla Rinascente al liquore Aurum. Ma l’eredità principale è la voglia di superare il limite. L’essenza della modernità.

Parliamo del suo libro, e dei rapporti con Pirandello

Pirandello sputò sempre veleno contro D’Annunzio però io ho scoperto che nella pagina finale di Uno nessuno centomila il romanzo si chiude ricalcando una pagina dannunziana del Vangelo secondo l’avversario. Il mio libro parla di questo. Insomma Pirandello formalmente lo criticava ma sotto sotto lo utilizzava anche come modello stilistico. La cosa non poteva che essere consapevole anche se non fu mai ammessa da Pirandello.

Che era poi più fascista di D’Annunzio…

Pirandello prende la tessera del Pnf nel 1925 dopo il delitto Matteotti. In quell’occasione invece D’Annunzio fu critico verso Mussolini. D’Annunzio non sposò mai il regime, tranne – in quanto fervente nazionalista – per quanto riguarda l’espansionismo in Africa orientale.

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