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Metti la notte del 31 ottobre a Mirasole: romanzo d’esordio con lumere per Pasotti. Il 2 marzo la presentazione al Carbone

Sull’orlo del Po, dove alita la nebbia e schiuma il Lambrusco. Dove ogni esistenza, anche la più storta, assume un respiro epico, da saga padana. “Cronache di nebbia, di zucche e di altre malefatte” (Monti Edizioni) è il primo romanzo del mantovano Nicola Pasotti. Un romanzo crudo e poetico, potentissimo, ambientato durante la notte delle lumere nel borgo di Mirasole.

Piccola, grande scheggia di mondo popolata da una galleria di personaggi sghembi, teneri e violenti come le storie che rotolano sul bancone del bar Luce. Storie di morti irrequieti che ogni anno tornano a regolare i conti con i vivi. Sia che si tratti di contabilità sentimentale o di vendette postume.

Pasotti presenterà il libro il 2 marzo alle 15.45 al Cinema del Carbone di Mantova, in via Oberdan 11. Con lui ci saranno il direttore editoriale di Monti, Maria Verderio, il giornalista e Igor Cipollina e la podcaster Valentina Podigghe.

Innamorato delle atmosfere della pianura e dei libri di Stephen King, di mestiere Pasotti guida autobus del servizio di trasporto pubblico (e chissà che l’umanità che carica ogni giorno non l’abbia ispirato), ma la sera è lui a lasciarsi guidare dalla sua febbre creativa. Il tragitto lo decidono i suoi personaggi.

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«Di cosa parlano le mie Cronache? Di tre cose che tutti noi, gente di fiume e pianura, conosciamo bene –risponde l’autore – della nebbia, delle zucche e delle malefatte che infestano tutte le vite in misura differente. Almeno una, ma anche di più se dice male. Sono cronache strane, che cominciano sul monte Golgota e finiscono al tavolo di un’osteria in una notte nebbiosa e fredda».

Il respiro del romanzo è scandito da undici racconti, legati tra loro a doppio filo, e dieci intermezzi, «come una sbirciata svelta nelle pieghe delle storie dei personaggi».

«È un romanzo senza mezze misure – anticipa ancora l’autore – che parla anche di ritorni, rimorsi, redenzione e famiglia, nel senso più ampio del termine. La famiglia naturale ma, soprattutto, quella degli affetti strani, cementata dagli accidenti tirati, dai giri di briscola e dai piccoli gesti quotidiani».

Quanto alla febbre creativa, densa come una nebbia, Pasotti confessa di scrivere per “svuotare un pieno” anziché “riempire un vuoto”: «Capita che il personaggio prenda vita sulla pagina, quasi a comandarmi “fammi fare questo, fammi dire l’altro, fammi reagire cosi”. E quando capita, diventa tutto bellissimo, come in quella scena di “Fantasia” con Topolino apprendista stregone dove tutti gli oggetti si animano e ammutinano».

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