World News in Italian

Chiaverano, condanne per 4 anni ai due rapinatori dei coscritti

CHIAVERANO. Si è concluso con tre condannati su quattro imputati il processo sulla rapina che generò una rissa alla festa dei coscritti di Chiaverano il 6 aprile 2018.

Ad Ayoub El Arine di Ivrea, allora 20enne, Souhahil Achchab, ai tempi 19enne, è stata inflitta una pena di due anni per concorso in rapina e lesioni. Erano accusati, dal pm Ludovico Bosso, di aver rapinato un giovane di Chiaverano per appena 10 euro. Mentre Fouad El Magrouni, che aveva 18 anni, è stato assolto per non aver commesso il fatto.

La vicenda ha fatto scalpore anche perché era imputato anche Maurizio Liporace, difeso dall’avvocato Celere Spaziante, che quella sera era evaso dagli arresti domiciliari per cercare il nipote perso nella bolgia e difendere i coscritti di Chiaverano, almeno così aveva sostenuto. Il collegio presieduto dalla giudice Stefania Cugge, però, non gli ha creduto ed è stato condannato a una pena di 8 mesi.

L’aggressione si è consumata subito dopo una festa di coscritti del 2000 di Chiaverano, mentre il giovane percorreva la via per tornare a casa.

Il giovane allora 16enne era stato bloccato e picchiato e con un pugno gli erano stati rotti gli occhiali da vista e causate delle ferite guaribili in dieci giorni di ospedale. Poi, gli è stato sottratto il portafoglio con 10 euro all’interno. Il ragazzo nei giorni successivi avrebbe riconosciuto gli aggressori sui social network.

Durante il processo ha testimoniato anche la mamma del giovane: «Mio figlio, quella sera, era una maschera di sangue», aveva detto di fronte ai giudici.

È stato condannato, però, anche Maurizio Liporace, 42enne rappresentato dall’avvocato Celere Spaziante. Era accusato di essere evaso dai domiciliari per minacciare e picchiare delle persone vicine al gruppo che aveva aggredito il giovane di Chiaverano. Accuse, però, che lui ha respinto decisamente in aula, presentandosi alle udienze, comportamento apprezzato dai giudici.

Non ha negato, cioè, di essere evaso dai domiciliari in quel giorno di gran trambusto in paese. Spiega, però, di averlo fatto «in quanto zio». «È venuta mia nipote a chiamarmi - spiega - e mi ha detto che non trovava più suo fratello. Io avrei finito di scontare la pena tre giorni dopo, ma in quel momento non ci ho pensato proprio, perché avevo paura per mio nipote. Allora sono andato insieme a lei a cercarlo e davanti a quella rissa ho solo cercato di dividere». Alla fine però il collegio ha ritenuto non provato il timore di un’ingiusta offesa verso il nipote, così ha condannato Liporace, per la sola evasione, alla pena di 8 mesi.

Читайте на 123ru.net