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Dopo Chico Forti il padre di Ilaria Salis e Filippo Mosca sperano: “Ora il governo pensi agli altri”

Il rientro in Italia di Chico Forti, l’imprenditore condannato ergastolo in Florida per omicidio, i genitori di Ilaria Salis e Filippo Mosca, rispettivamente detenuti in Ungheria in attesa di giudizio e in Romania dopo una sentenza, sperano che anche i loro figli possano tornare a casa il prima possibile. “Sono contento per lui, mi pare un’ottima notizia. Un italiano che risolve il suo problema è una notizia positiva che fa ben sperare – dice Roberto Salis, padre di Ilaria detenuta da oltre un anno a Budapest – Io sono del parere che i famosi 2500 casi di italiani detenuti all’estero debbano essere affrontati tutti, caso per caso – dichiara l’uomo all’Ansa – Per cui concentrandosi caso per caso su quelli più urgenti e più gravi, prestando la massima attenzione, si possono ottenere dei risultati come è successo nel caso di Chico Forti.

IL CASO SALIS – “Io credo che l’Italia abbia la storia, il trascorso e il nome per poter essere rispettata in giro per il mondo, possiamo e dobbiamo essere uno stato che si fa rispettare”. Il caso della Salis è però tutto in salita, nei giorni scorsi il ministro degli Esteri ungherese si era detto “scioccato per la reazione italiana”. La 39enne antifascista è accusata di aggressione, lesioni in concorso e di far parte di “un’associazione estremista“. Un anno fa nel “Giorno dell’Onore” partecipava a una contromanifestazione contro i gruppi di estrema destra da tutta Europa che a Budapest commemorano ogni anno un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire la presa di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Accuse per cui rischia fino a 24 anni di carcere.

IL CASO MOSCA – “Quando ieri ho appreso la notizia della risoluzione del caso di Chico Forti, con il suo rientro in Italia, mi si è aperto il cuore e ho avvertito un senso di felicità. Ritengo che l’Italia, che è un grande Paese, debba anche pensare ai tanti connazionali rinchiusi nelle carceri di altre nazioni e detenuti in condizioni difficili e spesso disumane, come sta capitando a mio figlio Filippo” dice Ornella Matraxia, madre di Filippo Mosca, il giovane 29enne di Caltanissetta, recluso da circa nove mesi nel carcere di Porta Alba, a Costanza, in Romania, dopo una condanna in primo grado a 8 anni e 6 mesi per traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

“Sebbene i casi giudiziari siano profondamente diversi – sottolinea Ornella all’Ansa- c’è tutto un carico di sentimenti, emozioni, difficoltà oggettive e problematiche che unisce indissolubilmente chi affronta condizioni detentive e casi giudiziari all’estero. L’empatia con Chico Forti, ma anche con Ilaria Salis e le loro famiglie – prosegue la madre di Mosca – si è amplificata ed ogni loro successo, ogni piccolo passo avanti mi riempiono di gioia e riaccendono la speranza che il governo italiano si attivi anche per mio figlio, affinché he le nostre battaglie, le richieste di aiuto, le urla di dolore non rimangano inascoltate”.

“Io do voce a mio figlio che in questo momento voce non ne ha – sottolinea Ornella – sono disperata della sua disperazione e le mie battaglie sono quelle che Filippo combatterebbe per la sua innocenza che ha professato fin dal primo momento del suo arresto”. Ornella Matraxia ha denunciato nelle scorse settimane il trattamento che suo figlio ha subito nel carcere di Costanza. “Ci è stato impedito di fargli avere persino una coperta. Da nove mesi viviamo nell’angoscia quotidiana – aggiunge – ma abbiamo fiducia nel governo e nella diplomazia italiani, molto meno nella giustizia romena che si è dimostrata superficiale e approssimativa. Purtroppo, tanti italiani detenuti all’estero sono dimenticati, noi continueremo a tenere accesi i riflettori sul caso di mio figlio accusato di un reato che non ha mai commesso“. Nei giorni scorsi, i giudici romeni hanno respinto la richiesta di arresti domiciliari. Il prossimo 7 marzo è previsto l’inizio del processo d’appello ed al tribunale di Costanza saranno presenti la madre di Filippo Mosca e anche una delegazione dell’associazione ‘Prigionieri del Silenzio’, guidata da Katia Anedda.

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