L’altro schiaffo di Meta ai giornali
Forse non c’è situazione esemplare migliore di questa per descrivere in che modo l’ecosistema mediatico mondiale sia rimasto affascinato da Meta e dai suoi social network di riferimento, ne sia diventato assolutamente dipendente, salvo poi scoprire che, di loro, a Meta non importa davvero nulla. Vi ricordate Facebook News? Si tratta(va) del servizio che il social network fondato da Mark Zuckerberg metteva a disposizione per offrire ai giornali e alle notizie una vetrina ad hoc. C’è stato un momento storico (quello dal 2015 in poi), in cui i social network erano il veicolo primario per l’informazione online e in cui nessun giornale poteva fare a meno di avere una presenza corposa su Facebook. Progressivamente, però – in seguito alle polemiche che un social come Facebook ha dovuto affrontare sulla diffusione dell’informazione scorretta e delle fake news – l’importanza che la piattaforma di Zuckerberg ha riservato alle notizie è andata scemando. Tanto da dismettere Facebook News prima in alcuni Paesi europei (come la Germania o la Francia) e poi – come annunciato – anche negli Stati Uniti e in Australia, due degli outlet di notizie più significativi per il mercato editoriale.
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Facebook News chiude il servizio negli Usa e in Australia
In base a quanto è stato pubblicato il 29 febbraio sul blog ufficiale di Facebook, il servizio dedicato alle news verrà eliminato a stretto giro in Australia e negli Stati Uniti. Meta ha comunque precisato che gli accordi in essere con gli editori (soprattutto a livello di royalties per l’utilizzo di alcuni contenuti o dei loro estratti brevi – si veda, per quanto riguarda Francia e Germania, la direttiva europea sul copyright ad esempio) rimarranno in piedi e non saranno intaccati da questa scelta strategica dell’azienda.
All’origine di questa decisione c’è il fatto di concentrarsi sempre di più sull’«allineare meglio i nostri investimenti ai prodotti e ai servizi che le persone apprezzano di più. Come azienda, dobbiamo concentrare il nostro tempo e le nostre risorse su cose che le persone ci dicono di voler vedere di più sulla piattaforma, inclusi video in formato breve». Insomma, secondo Facebook, gli utenti non vogliono più vedere le notizie sulla piattaforma (news che, in ogni caso, continueranno a comparire nei feed degli utenti), affermando che – secondo una indagine condotta sulla piattaforma – il numero di visualizzazioni di Facebook News è sceso dell’80% negli Stati Uniti e in Australia.
Il dato sembra enorme, ma in realtà non può che strapparci un sorriso. Facebook, come altri social network, è una piattaforma che si basa sulla raccomandazione algoritmica del contenuto. Basta, dunque, che la gestione della distribuzione dei contenuti preveda delle regole che penalizzano automaticamente i contenuti informativi per impedire a questi ultimi di raggiungere ampie fette di popolazione. Insomma, se l’80% in meno delle persone consulta le news su Facebook è perché Facebook stesso ha permesso tutto ciò. Zuckerberg e company hanno compreso agevolmente che, al giorno d’oggi, è molto più comodo puntare sull’intrattenimento che sull’informazione. Lo hanno compreso a loro spese, con le tante accuse che sono arrivate al social network e le polemiche collegate alla diffusione della disinformazione sulla piattaforma. Meglio, quindi, puntare su settori meno problematici e meno impattanti sul miglioramento sociale.
«Le testate giornalistiche – spiega Facebook – possono anche sfruttare prodotti come Reels e il nostro sistema pubblicitario per raggiungere un pubblico più ampio e indirizzare le persone al loro sito web, dove trattengono il 100% delle entrate derivanti dai link in uscita su Facebook». Ovviamente, però, per come funzionano i social network oggi, spostarsi da un contenuto video a un contenuto testuale è un’azione che implica un eccessivo sforzo per l’utente. E anche se Facebook, alla fine, cita le cifre investite per contribuire a migliorare l’ecosistema informativo, sembra davvero chiaro che – ormai – il rapporto con gli editori sulla piattaforma si sia finalmente deteriorato. A farne le spese, ancora una volta, è l’industria editoriale che ha puntato per anni sul cavallo sbagliato. E adesso che Facebook ha abbassato la leva si trova senza una fonte importante di sostentamento.
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