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Decreto Pnrr, 9,5 miliardi di coperture da Fondo sviluppo e coesione, Piano complementare e tagli a ministeri e Comuni

Poco meno di 9,5 miliardi per finanziare le nuove misure entrate nel Pnrr con la revisione dello scorso anno e non coperte con le risorse arrivate dai definanziamenti (10,4 miliardi) e dai fondi aggiuntivi legati al capitolo RePowerEu (2,7 miliardi). Più altri 3,44 che serviranno per portare avanti i progetti esclusi dal Piano, per esempio una parte dei Piani urbani integrati dei Comuni. Sono i fondi messi in campo dal decreto Pnrr, ora all’esame della commissione Bilancio della Camera, che nel complesso prevede maggiori impieghi per 22,7 miliardi. Le coperture arriveranno in gran parte dal Fondo sviluppo e coesione e dal Piano nazionale complementare. Ma anche da tagli ai ministeri.

Dal lato delle uscite non sono previsti fondi aggiuntivi per le migliaia di piccole e medie opere dei Comuni già programmate da anni e poi travasate nel Recovery salvo uscirne per decisione del governo: verranno comunque mandate in porto riattivando i finanziamenti previsti in origine. Vengono invece rifinanziati i progetti per l’utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate e la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. Openpolis, che fin dall’inizio conduce un monitoraggio civico sul piano, fa notare però che al momento “non è disponibile un dataset aggiornato su tutti i progetti che saranno realizzati con i fondi del piano. Di conseguenza non è nemmeno possibile capire quali saranno portati a termine con altre fonti e quali invece saranno eliminati del tutto”.

Le coperture – L’Fsc, strumento nazionale che si affianca ai fondi strutturali europei nel sostenere le politiche di riduzione degli squilibri economici e sociali sul territorio nazionale, viene sforbiciato di quasi 5 miliardi complessivi, di cui 2,6 nel 2025 e 1,4 nel 2026. Cifre che però vengono reintegrate stralciando altri fondi e riducendo quello per il trasferimento tecnologico alle imprese del Sud.

Il Piano “gemello” di quello finanziato con risorse Ue non solo vede slittare in avanti al 2027-2028 diversi progetti ma perde subito più di 3,7 miliardi. Anche in questo caso c’è però un gioco di dare e avere: lo stesso decreto infatti con una mano toglie, con l’altra incrementa di circa 2,6 miliardi le risorse per alcuni interventi dello stesso Pnc. Ulteriori tagli potranno poi arrivare attraverso futuri Dpcm chiamati a “individuare gli eventuali interventi relativi oggetto di definanziamento in virtù del mancato perfezionamento delle obbligazioni giuridicamente vincolanti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Il Fondo per l’avvio di opere indifferibili, nato per far fronte all’aumento dei costi delle opere pubbliche causati dalla fiammata inflazionistica del 2022, perde 900 milioni tra 2025 e 2026. I fondi residui del ministero della Salute contribuiranno alle coperture per 690 milioni di euro. Ammonta poi a 1,3 miliardi spalmati su un triennio (sempre a partire dal 2026) il sacrificio chiesto ai ministeri dell’Economia, delle Imprese, della Difesa, della Giustizia, dell’Interno, dell’Ambiente e delle Infrastrutture.

Tagli ai fondi per gli enti locali – Altri 730 milioni arriveranno da riduzioni dell’autorizzazione di spesa per il 2026 e 2027 relativa ai contributi ai Comuni per investimenti di messa in sicurezza degli edifici e del territorio. E sempre i sindaci dovranno rinunciare ad oltre 1 miliardo complessivo tra 2027 e 2029 a valere su un altro fondo per investimenti istituito dalla legge di Bilancio per il 2020.

Ma Comuni soddisfatti – Dopo le tensioni seguite ai definanziamenti decisi lo scorso anno, l’Associazione nazionale dei comuni italiani stavolta si è detta soddisfatta per la “integrale copertura di quanto era stato stanziato” e il via libera alla possibilità di continuare a realizzare quei progetti con le procedure semplificate introdotte ad hoc per il Pnrr. In più il decreto, come auspicato da tempo, interviene sul nodo degli insufficienti anticipi versati dallo Stato agli enti attuatori: dal 10% attuale salgono di default al 30% del contributo assegnato. Dopo la carota arriva però anche il bastone già preannunciato dal ministro Raffaele Fitto per far sì che il sistema di rendicontazione Regis contenga un quadro davvero aggiornato dell’utilizzo dei fondi: gli enti che non inseriranno tempestivamente i codici progetto si vedranno revocare il contributo. Idem per quelli che non rispetteranno le scadenze per l’aggiudicazione dei lavori. Resta però il nodo della scarsa capacità amministrativa dei piccoli enti: come ha ribadito la Corte dei Conti, occorrono ulteriori interventi “per integrare le competenze tecniche necessarie a sostenere i processi amministrativi e burocratici richiesti”.

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