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Davanti all’inflazione di voti a scuola, il ministro Valditara non investe ma se ne lava le mani

Senza voler mancare di rispetto, osservo che l’attivismo giornaliero del ministro Valditara assomiglia molto al dinamismo del criceto dentro la sua gabbietta circolare. Il caro animaletto si muove continuamente, ma non può andare da nessuna parte. Similmente ogni giorno il ministro esterna su tutto l’orbe terracqueo della scuola, ma finora nulla si è mosso. La sua riforma della filiera professionale è stata bocciata da scuola e famiglie. Il tutor scolastico sottopagato non ha entusiasmato nessuno perché si aggiungono problemi invece che risolverli. Il corposo aumento di stipendio promesso in campagna elettorale non si è visto e nemmeno pare sia in vista. Se poi parliamo degli interventi sull’uso del cellulare, sulle occupazioni scolastiche, sulle aggressioni ai docenti, su tutto questo il ministro è intervenuto dicendo la sua con poco costrutto. Almeno finora e per quanto posso capire. La nave della scuola italiana procede nella sua direzione di sempre, ignorando il suo valoroso capitano.

L’ultima frontiera della mission di Valditara riguarda l’inflazione da voti, chiamiamola così. Le statistiche ci dicono, non da ora peraltro, che anche sul piano scolastico abbiamo due Italie, forse anche tre. Guardando ai voti finali dell’esame di Stato, che i giornalisti continuano a chiamare di maturità mostrando il loro modesto senso dell’aggiornamento, emergono le due Italie di sempre. Ma stavolta la differenza è piuttosto antipatica. Al Sud fioccano i cento e anche i cento e lode, mentre al Nord gli insegnanti sono più avari. Il problema consiste nel fatto che la classifica è ribaltata se prendiamo in considerazione i risultati delle prove Invalsi, le prove oggettive e uguali per tutti. Di solito i punteggi degli studenti e delle studentesse delle scuole del Nord sono più elevati, e non di poco. Ergo, siamo di fronte ad una specie di inflazione da voti. La valutazione del docente non misura in maniera accurata la preparazione scolastica dell’allievo. Qui le spiegazioni potrebbero essere tante, a cominciare dal fatto che la prova Invalsi richiede una specifica preparazione. Ma non voglio prendere questa direzione molto ostica.

Qui mi interessa osservare come il divario scolastico non lo ritroviamo solo nei voti finali dell’esame di Stato. Facciamo un passo indietro e guardiamo ai dati relativi ai risultati degli studenti di terza media. I numeri si possono consultare sul Rapporto annuale sul Benessere Equo e Sostenibile dell’Istat del 2022. In Italia il 30% degli studenti non raggiunge una competenza alfabetica adeguata. La percentuale sale al 51% per la Sicilia, da un lato, e scende al 30% per l’Umbria, il valore più basso (escludendo la Valle d’Aosta). Ancora più allarmante è la situazione delle competenze matematiche. Qui la media italiana sale al 43%, con la Calabria maglia nera con il 62% degli studenti impreparati, e il Veneto sul versante opposto con valore del 33%. In definitiva possiamo dire che più di un terzo degli studenti di terza media è insufficiente in italiano e matematica, con notevoli differenze regionali, anche del 100%.

Se può rincuorare la percentuale di studenti tredicenni insufficienti nel 2003 negli Usa è stata del 54% in inglese e del 51% in matematica. Dunque dati ben peggiori di quelli italiani, tanto da far segnalare a qualcuno l’istruzione come un’emergenza nazionale. Anche noi dovremmo fare una valutazione del genere perché la questione non è secondaria, specialmente nel lungo periodo.

Andando al punto, cosa fare per mitigare questo gap scolastico che viene formalmente ribaltato alla fine del percorso di studio da voti generosi? Un ministro serio potrebbe pensare di investire risorse ingenti. La proposta di Valditara invece è differente. L’ingiusta stortura non viene eleminata ma istituzionalizzata con una soluzione puramente nominalistica e gratuita, cosa che con guasta. Pare che nel certificato del diploma finale verrà riportato anche l’esito della prova Invalsi. In questo modo pilatesco la politica se ne lava le mani e tutto procede come prima, senza nessun freno a questa ingiusta inflazione/deflazione da voti. Con una riga sul certificato di diploma il problema è risolto, almeno formalmente. Ministro anche un po’ codardo, perché pare che la valutazione Invalsi non sarà resa pubblica, così da non infastidire troppo le famiglie e di conseguenza gli elettori. Il merito stavolta lo teniamo ben nascosto perché fa paura alla demagogia ministeriale.

Questa inflazione da voti, accertata almeno in alcune Regioni, non è una prerogativa solo italiana. Nelle prestigiose università americane, quelle private per super ricchi, si è notato da tempo un forte aumento della percentuale di studenti che ottengono il voto massimo, A (eccellente). Questo voto è naturalmente il passaporto necessario per ottenere una buona, e forse ottima, posizione lavorativa. Gli studenti americani di oggi sono veramente più bravi di quelli di ieri o le università cercano solo del marketing a buon mercato per sostenere le loro esorbitanti rette di iscrizione inflazionando i voti? Quest’ultima è una concreta possibilità, tanto nessuno andrà mai a verificare se la preparazione effettiva è così elevata come si potrebbe dedurre dalle stratosferiche rette di iscrizione. La difficoltà vera è quella di entrare nel cerchio magico delle università Ivy League, poi l’A è quasi assicurato.

Questo ci dice quanto problematico e delicato sia il rapporto tra il valore e la sua misurazione nel campo dell’istruzione dove è molto facile, e anche comodo, far circolare moneta falsa, anche in nome di un merito a questo punto fasullo.

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